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Riforma del patto di stabilità, la partita per l’Italia è sugli investimenti green

Moscovici (Ue): ok flessibilità del Patto ma serve una riforma

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La leva principale è quella degli investimenti. Soprattutto se destinati a finanziare progetti concreti diretti alla transizione energetica e alle tecnologie digitali. Su questo versante, il nostro Paese può giocare un ruolo importante nel percorso di avvicinamento alla riforma del Patto di stabilità cui sta lavorando la Commissione europea. Siamo solo agli inizi, ma va accolta con assoluto favore la svolta annunciata sia dal vice presidente esecutivo Valdis Dombrovskis che dal commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni.

Pil potenziale in discussione
Si prende atto in modo esplicito, anche se con cautele del caso, che alcuni dei parametri utilizzati nell’attuale disciplina di bilancio non sono più idonei a rappresentare gli andamenti delle finanze pubbliche. È il caso del cosiddetto Pil potenziale, il cui calcolo da anni è oggetto di ampie discussioni e divergenze tra Bruxelles e i paesi membri, in primis l’Italia. Parametri troppo rigidi, come il deficit strutturale (che tiene conto dello scarto tra Pil potenziale e Pil reale) su cui si basano le periodiche “pagelle” emesse da Bruxelles, che ora potrebbero cedere il passo ad una serie di indicatori più flessibili come l’andamento della spesa proiettato su un arco temporale pluriennale.

Verso la revisione dei parametri chiave
Sullo sfondo, ma solo alla fine di un percorso che si annuncia tutt’altro che breve, vi è la revisione dei parametri chiave, deficit e debito in primo luogo, così come codificati dal Trattato di Maastricht del 1992. Ma per questo occorrerà mettere mano alla modifica dei Trattati. Nel frattempo molto si può fare, e proprio questo sembra essere l’intento della Commissione che ha scelto la strada della consultazione preventiva aperta al contributo dei singoli paesi, con l’obiettivo di individuare una soluzione condivisa entro l’anno.

Spazio fiscale per gli investimenti green
Il primo step passa da una riedizione aggiornata della Comunicazione sulla flessibilità varata dalla Commissione Juncker nel 2015. Ed è per il nostro paese un’opportunità da cogliere al volo. In sostanza, per le spese effettuate in direzione degli investimenti “green” e delle infrastrutture immateriali, si aprirebbe uno spazio fiscale da utilizzare ai fini della politica di bilancio. Non sarà la golden rule più volte proposta dal nostro paese (vale a dire lo scorporo delle spese per investimenti dal calcolo del deficit), perché su questo punto i paesi nordici più rigoristi fanno muro, ma è in sostanza un placet implicito ad allentare la disciplina di bilancio europea.

Con la crescita riduzione automatica del debito
È vero – come ha sottolineato Gentiloni – che paesi come l’Italia devono ridurre il loro debito pubblico, ma è altresì vero che se si spinge il pedale sulla crescita (e gli investimenti possono contare su un notevole “effetto moltiplicatore”) il debito può cominciare a ridursi in automatico. In poche parole si agisce sul denominatore. Una ricetta keynesiana riadattata alle esigenze imposte dall’attuale ciclo economico internazionale, in poche parole. Flessibilità, dunque, che può collegarsi anche a una valutazione meno rigorosa da parte di Bruxelles sugli effetti del rallentamento dell’economia. Opzione peraltro già presente nell’attuale Patto di stabilità.

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