Pd e M5S rilanciano la centralizzazione e Zaia minaccia un referendum: «Decideranno i veneti». Strutture colpite da turnover e commissariamenti
di Gianni Trovati
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Un dato è certo: il caotico intreccio dei poteri nel complicato federalismo all’italiana è molto fastidioso in tempi ordinari, ma è insopportabile nell’emergenza. Più incerta è la cura, nell’oscillazione eterna fra statalismo e federalismo che caratterizza il dibattito politico italiano. A riavviare l’altalena sono state le dichiarazioni del vicesegretario del Pd Andrea Orlando, secondo cui dopo la crisi bisognerà pensare se è il caso «di far tornare in capo allo Stato la sanità».
Il braccio di ferro statalismo-federalismo
La proposta è applaudita dai Cinque Stelle, perché «è da sempre nel nostro programma», come afferma il capo politico reggente Vito Crimi. «Il giorno dopo la crisi riparte la battaglia per l’autonomia», fa sapere il presidente del Veneto Luca Zaia, annunciando di essere pronto anche a un altro referendum per far respingere ai veneti una statalizzazione che si tradurrebbe in «un’equa condivisione del malessere». L’opportunità del derby messo in scena mentre il Paese è ancora al picco della curva epidemiologica è dubbia. Ed è dubbia anche la sua utilità. Perché basta uno sguardo ai numeri per intuire che a colpire il sistema sanitario sono state spesso le norme scritte a Roma nel tentativo di far tenere i conti pubblici. E non solo e non tanto nella voce più ovvia del «taglio ai fondi» tanto richiamata nelle ultime settimane.
Gli anni del piano di rientro
Un primo dato importante si incontra a pagina 10 del Conto annuale del personale pubblicato questa settimana dalla Ragioneria generale dello Stato. Medici e infermieri sono giustamente ricoperti di elogi per il loro impegno dal coro della politica. Ma sono anche 45.093 in meno rispetto al 2009, conuna flessione del 6,5% spinta soprattutto dal -10% fatto registrare dalle Regioni sottoposte al piano di rientro (in pratica tutto il Centro-Sud, con l’eccezione della Basilicata, più il Piemonte). Il dato si riferisce al 2019, ma è sempre la Ragioneria a dire che nel 2019 la situazione è rimasta invariata (-0,05%) almeno sul piano numerico. Il riaprirsi di spazi di turnover ha quindi compensato l’accelerazione delle uscite prodotta da «quota 100», anche se rimane evidente il paradosso di un Paese che prima apre le porte ai prepensionamenti in sanità e subito dopo, con il Coronavirus ancora sconosciuto, richiama in servizio i medici fino a 70 anni. Con l’epidemia anche il limite anagrafico è saltato.
Il boom dei contratti a termine
Non solo. Il censimento del ministero dell’Economia aggiunge che c’è un settore del pubblico impiego in cui la sanità è in controtendenza: è quello dei contratti a termine, in forte flessione nella Pa in generale (-16% fra 2009 e 2018) ma in crescita in sanità (+6,4%). Le regole del turnover sono scritte a Roma e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato, così come le leggi di bilancio che ogni anno definiscono i livelli del fondo sanitario dopo i soliti negoziati autunnali con le Regioni. A riassumerne i risultati è un’analisi appena ultimata dal servizio studi della Camera. Che aiuta a illuminare un po’ l’altro corno del dibattito politico fra i partiti impegnati a rinfacciarsi i «tagli» del passato. In sintesi: dalla regionalizzazione del 2000 a oggi la spesa sanitaria è passata da 66 a 116,4 miliardi, con un aumento medio di circa il 3,5% all’anno mentre il Pil viaggiava a ritmi di crescita intorno al 2%.
I «tre periodi» politici della sanità
Ma questa dinamica è figlia di tre periodi: quello della spesa, con il 6% di crescita all’anno fatto registrare fra 2000 e 2008, quello della stasi durato fino al 2017 e il reflusso avviato nel 2018, corretto in corsa con i fondi aggiuntivi di quest’anno. Nel primo periodo centrodestra e centrosinistra si sono alternati alla guida del Paese, che nel secondo e nel terzo ha sperimentato tutte le forme di governo possibili dalla destra alla sinistra, dai tecnici alle «strane» maggioranze fino ai gialloverdi e ai giallorossi. Un caleidoscopio che rende la contabilità delle colpe molto più complicata rispetto a quella proposta dalle accuse incrociate dei partiti.