In poche parole, anche grazie alla manovra correttiva di giugno pari a 7,6 miliardi e al suo effetto a regime, non verrà chiesto all’Italia (come imporrebbero le regole di bilancio europee) di intervenire nel 2020 sul saldo strutturale (che si calcola al netto delle variazioni del ciclo economico e delle misure una tantum) per un ammontare vicino allo 0,6% del Pil (oltre 10 miliardi).
Ne consegue che il percorso verso il raggiungimento del pareggio di bilancio si allunga ulteriormente. Ma oggettivamente si tratta di un obiettivo che ora viene posto in discussione dalla stessa Germania, vale a dire dal paese che ha sostanzialmente imposto negli anni della crisi una maggiore e più stringente vigilanza e controllo sui bilanci pubblici dell’eurozona.
È stata la Confindustria tedesca, nel mettere in guardia dai rischi del marcato rallentamento dell’economia ormai in sostanziale stagnazione, a invitare il governo a voltare pagina, e dunque ad avviare una politica di investimenti e di sostegno alla domanda interna mettendo da parte il totem del pareggio di bilancio. In tale contesto, e in attesa che prenda corpo la revisione dei parametri chiave della disciplina fiscale europea, pare abbastanza scontato che non si erigano barricate ai paesi che chiedono di poter accedere a tutti i margini di flessibilità previsti dalle regole europee.
Non sarà tuttavia una flessibilità “a prescindere”, anche perché la commissione Ue presieduta da Ursula von der Leyen che si insedierà il 1° novembre dovrà tener conto anche delle obiezioni di alcuni dei paesi nordici tradizionalmente più rigoristi come l’Olanda. Le condizioni che verranno poste al nostro paese nel concedere la nuova tranche di flessibilità andranno rispettate: riduzione del debito, riforme strutturali per sostenere la crescita, investimenti.
Le regole di bilancio europee per la verità sono già state nei fatti sottoposte a diverse riletture e reinterpretazioni per concedere spazi pur senza metter mano ai Trattati. Per rivedere i parametri chiave (debito e deficit) il percorso non sarà breve. Ecco allora che all’interno della nuova possibile governance economica Ue potrebbero trovare spazio nuovi indicatori giudicati meno rigidi e più efficaci ad esempio del target del deficit strutturale, che determina peraltro l’output gap (vale a dire lo scarto tra Pil potenziale e Pil reale).