Nell’immaginario collettivo da sempre il lavoro da casa ha significato lavorare meno. Ebbene, dopo il lockdown per gli interessati questo è un falso mito
di Antonio Noto*
Nell’immaginario collettivo da sempre il lavoro da casa ha significato lavorare meno. Ebbene, dopo il lockdown per gli interessati questo è un falso mito
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Ormai lo hanno scoperto e non vogliono più lasciarlo. Quasi un dipendente su due ha assaporato cosa vuol dire lavorare da casa e non tornerebbe indietro. Anzi è certo che lo smart working abbia migliorato non solo la qualità della propria vita personale, ma anche le proprie perfomance professionali. Tra l’altro consentendogli di aumentare la produttività grazie alla serenità garantita dall’ambiente domestico e al fatto di poter evitare spostamenti casa-lavoro spesso lunghi e stressanti.
Certo manca il rapporto umano con i colleghi, persistono difficoltà organizzative, problemi di connessione e comunicazione, ma per il 65% del campione dei lavoratori interpellato dall’Istituto Noto Sondaggi che durante il lockdown ha operato da casa l’esperienza è stata positiva. E stiamo parlando di 47 occupati su 100 che dallo scorso marzo hanno trasformato lo studio, il soggiorno o la camera da letto in un vero e proprio ufficio.
Nell’immaginario collettivo da sempre il lavoro da casa ha significato lavorare meno. Ebbene, dopo il lockdown per gli interessati questo è un falso mito. Per 44 dipendenti su 100 che hanno provato lo smart working il tempo dedicato al lavoro è rimasto uguale e per il 39% è addirittura aumentato. Segno forse di una responsabilità e riconoscenza nei confronti del datore di lavoro o del committente che anche durante un periodo di così grande crisi e difficoltà ha assicurato continuità operativa. Oppure probabilmente una maggiore responsabilizzazione in quanto era questo l’unico modo per poter continuare a lavorare senza rischiare la cassa integrazione o, per i precari, la fine della loro prestazione.
Gratificazione e fattori critici
È aumentata anche la gratificazione personale perché nel 44% dei casi esaminati è cresciuto il tempo dedicato a famiglia, relazioni e affetti, così come alla cura personale. Tutto ciò – poter lavorare da soli riuscendo maggiormente a concentrarsi – secondo il 65% lavoratori ha influito positivamente sui propri risultati professionali contro il 25% che invece ha fornito un giudizio negativo. Tra questi prevale la quota di chi ha accusato maggiore ansia e stress (24%), e per le donne (27%) questi problemi sono stati più rilevanti che per gli uomini (21%). Un ulteriore 22% indica difficoltà organizzative nel lavoro, ma in questo caso le problematicità sono state più degli uomini (32%) che delle donne (10%).
Per chi l’ha vissuta, e probabilmente la sta ancora vivendo come un’esperienza positiva, il fattore “tranquillità” prevale su tutti (34%). Inoltre nel 28% dei casi il risparmio di tempo e denaro per gli spostamenti è un grande valore aggiunto, mentre la maggiore libertà rispetto alle relazioni nell’ambiente dell’azienda ha rappresentato nel 19% dei casi un vero plus.