Il ministro dell’Economia deve muoversi sul filo di un equilibrio delicatissimo a Bruxelles, ma anche in Italia. Altro fronte di tensione le garanzie sulla liquidità da Cdp
di Manuela Perrone e Gianni Trovati
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Dall’Europa a Roma, tutti i dossier che agitano la maggioranza finiscono sul tavolo di Roberto Gualtieri. Il ministro dell’Economia deve infatti muoversi sul filo di un equilibrio delicatissimo a Bruxelles, dove si cerca con fatica un accordo sugli strumenti anti-crisi. Ma anche in Italia. Perché l’ipotesi di un ricorso a linee di credito ancorate al Mes, in qualsiasi forma si possa concretizzare, divide nettamente le forze politiche che sostengono il Governo Conte.
Forze politiche che discutono anche sulle dimensioni del decreto aprile e sull’elenco dei compiti da affidare a Cdp. In un ventaglio amplissimo che spazia dalle garanzie per la liquidità delle imprese al sostegno dei Comuni con anticipazioni di liquidità e blocco dei mutui.
Nettissime le posizioni espresse dai Cinque Stelle, anche martedì nell’incontro tra il premier e i capidelegazione e in quello successivo della cabina di regia economica al Mef: no a «ricette vecchie» come il Mes, sì agli eurobond, visti come «strumento per una svolta solidale dell’Ue». E sul decreto Aprile i pentastellati spingono per il massimo volume di spesa possibile, con un obiettivo che non vuole scendere sotto i 50 miliardi. Cifra che si scontra con la prudenza del Tesoro, attento ai rischi collegati alla raccolta dei fondi sul mercato nelle prossime settimane, presenti nonostante il nuovo ombrello aperto dalla Bce.
Il muro alzato dal M5S sul Fondo Salva-Stati è la ragione per cui Giuseppe Conte ha archiviato la sua proposta di ricorrere proprio al Mes per l’emissione dei coronabond. Ancora martedì il premier ha voluto ribadire, in un’intervista alla Tv tedesca Ard, le distanze con la cancelliera Merkel e si è rivolto direttamente ai cittadini tedeschi: «Non stiamo scrivendo una pagina di un manuale di economia, stiamo scrivendo una pagina di un libro di storia». E ancora: «Il meccanismo degli eurobond non significa che i tedeschi dovranno pagare un solo euro per i debiti italiani».
Lo “spettro” del Mes agita anche il Pd, dove ufficialmente prevale l’asse trattativista impersonato da Gualtieri, dal commissario Ue Paolo Gentiloni e dal ministro degli Affari europei Enzo Amendola, sostenuto dal segretario Nicola Zingaretti. Una linea “pragmatica” che tiene conto della difficoltà oggettiva di trovare alternative percorribili in tempi rapidi. Perché, come chiarito al Financial Times dallo stesso presidente del Mes, Klaus Regling, «per definire una nuova istituzione europea in grado di emettere coronabond sarebbero necessari da uno a tre anni». L’idea è quindi quella di negoziare una condizionalità soft, che non si occupi di improbabili obiettivi di finanza pubblica ma si concentri su programmi sanitari e assistenziali. Ma pure questo scenario genera più di un malumore tra i dem, come conferma la freddezza con cui sono state accolte le parole di Gentiloni sulla scarsa probabilità di trovare un’intesa su una mutualizzazione del debito. Non c’è alternativa al Mes, tagliano invece corto i renziani di Italia Viva.