Un confronto serrato. Che potrebbe sconfinare anche in un vero braccio di ferro. È quello che nelle prossime settimane vedrà protagonisti i ministri sui tagli ai loro dicasteri per la prossima manovra da almeno 35 miliardi. Secondo la tabella di marcia ufficiale della spending review (peraltro non rispettata dall’esecutivo nel 2018) i nuovi obiettivi di taglio per i ministeri dovrebbero essere fissati dal Governo entro la fine di questo mese.
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Nell’intervista al Sole 24 Ore del 9 maggio scorso il ministro Giovanni Tria ha già detto a chiare lettere che «per finanziare riforme fiscali strutturali servono coperture strutturali». I dicasteri sono già sulla difensiva. Anche perché negli ultimi anni hanno già dato un contributo significativo all’operazione tagli. Nonostante l’assenza di una vera revisione della spesa, da un dossier dell’aprile scorso del Servizio Bilancio del Senato emerge che il più “penalizzato” dall’ultima legge di bilancio targata M5S-Lega è stato il ministero della Salute, guidato da Giulia Grillo, che ha visto ridursi lo “stato di previsione” (tra uscite correnti e in conto capitale) del 60,1% quest’anno e del 2,1% nel 2020. Luigi Di Maio è stato invece il ministro maggiormente “premiato” con un aumento degli stanziamenti del 7,1% nel 2019 e del 3,1% nel 2020.
La cura dimagrante
Al secondo posto dell’ideale classifica di riduzione dei budget, sempre considerando sia le uscite correnti che quelle in conto capitale, c’è il ministero delle Infrastrutture e trasporti, che vede al timone Danilo Toninelli (-24,2% nel 2018, compensato però da una crescita del 16,1% il prossimo), seguito dallo Sviluppo economico (-19,3% quest’anno e -3% nei 12 mesi successivi), con il suo “titolare” Di Maio che sostanzialmente pareggia la partita del “dare e dell’avere” vista l’irrobustimento dei fondi previsto per il ministero del Lavoro, anche sulla scia dell’operazione “reddito di cittadinanza” e “quota 100”.
Non altrettanto bene è andata al Viminale (-3,2% nel 2019 e -3,1% nel 2020), ma questo risultato è in parte anche la ricaduta della decisione presa dallo stesso ministro e vicepremier leghista Matteo Salvini di tagliare le risorse per l’immigrazione gestite dal ministero dell’Interno. A patire l’operazione tagli sono stati anche i ministeri dell’Ambiente (-6,3% quest’anno e 6,4% il prossimo) e della Difesa (-4,2% nel 2019 con una crescita però del 2% l’anno seguente). Il ministero dell’Istruzione ha visto salire leggermente gli stanziamenti quest’anno (+3,6%), ma con una restrizione già prevista per il 2020 (-2,3%). In leggera crescita lo “stato di previsione” del ministero dell’Economia: +3% nel 2019 e +0,5% il prossimo anno.
Il congelamento dei budget
Il quadro tratteggiato dal dossier dei tecnici del Senato è, oltretutto, al netto del congelamento dei 2 miliardi di spesa dai budget ministeri che, come già previsto dal Def, dalla prossima estate diventerà permanente per quest’anno e non più temporaneo. L’ulteriore stretta che servirà a contenere la crescita del deficit rispetto alle previsioni fatte alla fine dello scorso anno dal Governo, colpisce soprattutto il budget del ministero dell’Economia, che garantirà quasi 1,2 miliardi dei 2 miliardi che non potranno essere spesi per l’anno in corso. Al secondo posto dell’elenco dei nuovi tagli c’è il ministero delle Infrastrutture e trasporti con 301 milioni, seguito da Mise (159 milioni), Difesa (158 milioni) e Istruzione (100 milioni). A oltre 40 milioni ammonta il blocco delle risorse a disposizione della Farnesina. Ad essere sfiorati appena dalla clausola della spesa sono Salute (2 milioni di “contributo”) e Beni culturali (1,4 milioni) mentre lo “stop” al ministero del Lavoro riguarda poco più di 40 milioni.