«Noi prevediamo che l’obiettivo di deficit 2019» possa essere «anche inferiore a quello scritto come previsione nell’ultimo Def, senza alcuna manovra», cioè il
2,4%. Lo ha detto il ministro dell’Economia Giovanni Tria nel suo intervento al Festival dell’economia di Trento. Non solo. «L’economia italiana – prosegue Tria – è connessa a quella europea, bisognerebbe capire cosa accadrebbe se riducessimo velocemente il debito. Sono convinto che il consolidamento fiscale molto rapido non godrebbe della fiducia degli investitori».
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L’Italia, insomma, dovrà rispondere no alla probabile richiesta Ue di manovra correttiva perché l’economia inizia a mostrare «importanti segnali di ripresa che deve essere sostenuta da investimenti e taglio delle tasse». Ben prima delle dichiarazioni a Trento, è questo il succo del vertice mattutino fra lo stesso Tria e il vicepremier Salvini, accompagnato a Via XX Settembre dallo stato maggiore economico del Carroccio, il partito uscito trionfante dal voto. Un vertice in cui il Carroccio è tornato a premere per spazzare via un po’ di prudenza giudicata di troppo sulle sorti economiche del Paese. È lo stesso braccio di ferro andato in onda prima del Def. Ma ora il quadro è cambiato. Per due ragioni.
La partita sulle stime di crescita
La prima è ovviamente nei numeri del voto, che fanno della Lega la regina del quadro politico italiano e spingono il suo leader Salvini ad allargare ulteriormente il proprio campo d’azione parlando spesso da premier di fatto. La seconda è che gli obiettivi iper-prudenti di crescita (0,2% quest’anno, contro lo 0,4-0,5% per cui spingevano dalla Lega) scritti nel Def non sono serviti a fermare le obiezioni europee. Obiezioni che riguardano il mancato rispetto dei target sul debito 2018: ma è naturale che la partita su procedura e sanzioni si giochi prima di tutto su quel che Roma intende fare nei prossimi mesi in fatto di finanza pubblica.
Lega «unitaria»
Sul punto la Lega non vuole rompere, e sottolinea l’importanza che «tutte le istituzioni» assumano «un atteggiamento comune» rispetto a Bruxelles. Il compito di certificare la sintesi toccherà al presidente del consiglio Conte. E le linee della risposta a Bruxelles sono definite. E viaggiano in bilico fra passato e futuro.
Colpa della congiuntura
Guardando al 2018, il ministero dell’Economia ribadirà che a far crescere il debito è stata la gelata congiunturale, prodotta prima di tutto da un commercio internazionale messo in crisi dalle battaglie sui dazi. L’enfasi sulla «componente ciclica» ha un doppio obiettivo: sottolineare il carattere temporaneo dello scostamento rispetto alle regole europee che si devono concentrare sui dati strutturali, e insistere sul fatto che la crescita italiana resta lontana dal potenziale e quindi l’economia non può patire una cura recessiva e pro-ciclica.
Un po’ di ottimismo
Sul futuro invece un po’ di ottimismo non guasta. Le stime sulla crescita, con le loro ricadute su deficit e debito, sono «molto prudenziali» nell’ottica italiana, e potrebbero essere riviste al rialzo in corso d’anno se i segni di ripresa si consolideranno. E «un contesto più favorevole – ribadirà il ministero dell’Economia nella risposta alla commissione – renderebbe molto più
facile conseguire il rispetto della regola del debito». Rispetto che oggi manca, riconosce Roma, sia calcolando i risultati raggiunti (criterio backward looking) sia guardando alle previsioni dei prossimi anni (criterio forward looking).
L’incognita vera
Ma il nodo vero nasce dall’intreccio fra il rischio di procedura sul debito e la richiesta di correzione dei conti in corso d’anno. E qui i problemi si complicano anche sul fronte interno. La strada maestra per tenere a freno il deficit senza mostrare troppi cedimenti nei confronti di Bruxelles è quella di puntellare il disavanzo con la minore spesa rispetto al previsto per il reddito di cittadinanza. In gioco a conti fatti ci sarà molto più del miliardo già stimato dall’Inps. Il meccanismo del fondo scritto in manovra spingono in questa direzione, rilanciata ieri dalla Corte dei conti. La Lega, che fin qui ha digerito il reddito per ragioni di convivenza politica più che di convinzione economica, non metterebbe certo le barricate davanti a questa ipotesi. Che rappresenta però l’ennesima bandiera Cinque Stelle da ammainare.
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