Il reddito di cittadinanza, il provvedimento sul quale il Movimento 5 stelle ha puntato buona parte della campagna elettorale rischia di spingere le persone a non cercare un lavoro ed essere versato a persone che non ne hanno diritto, a causa di un insufficiente meccanismo di controlli. È quanto sostenuto in commissione Lavoro dal presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Upb), Giuseppe Pisauro, i cui rilievi sono in linea con quelli sollevati il giorno prima dal presidente dell’Inps, Tito Boeri. Sul tema è intervenuta anche la Caritas, la quale lamenta però che, così impostato, il finanziamento non andrebbe ad abbastanza stranieri.
Secondo l’Upb, i “rischi” potrebbero derivare dall’insorgere di “comportamenti opportunistici di incentivo all’evasione e disincentivo al lavoro” con possibili “effetti di spiazzamento”. In altre parole, ha spiegato Pisauro nel corso della sua audizione sul decretone, “chi oggi lavora e ha un reddito inferiore a quello del beneficio in teoria ha un vantaggio a smettere di lavorare e a portare a casa il beneficio”.
“Per come è congegnato, il Reddito di cittadinanza è connotato dalla debolezza degli incentivi a partecipare spontaneamente all’attività lavorativa”, ha spiegato Pisauro sottolineando che “al momento della richiesta del beneficio l’intero reddito da lavoro guadagnato entra nel reddito del nucleo familiare da integrare con il Reddito di cittadinanza, il che corrisponde all’applicazione di un’imposta implicita del 100 per cento se il reddito da lavoro è pari o inferiore alla soglia”.
“Chi ha un basso salario guadagnerà come chi non lavora”
Secondo l’Upb, “i soggetti che lavorano e che percepiscono salari bassi avranno pertanto una disponibilità economica uguale a quelli che non lavorano. Inoltre questo disincentivo – ha osservato Pisauro – è aggravato dal fatto che la misura del reddito di cittadinanza potrebbe spiazzare segmenti del mercato del lavoro, soprattutto al Sud, caratterizzati da retribuzioni particolarmente modeste eventualmente dovute a rapporti part-time o di collaborazione, per i quali l’attività lavorativa non risulterebbe economicamente conveniente”.
Quanto alle misure coercitive, ha concluso il presidente dell’Upb, “il principale disincentivo a comportamenti opportunistici è costituito dall’obbligo di accettare offerte di lavoro congrue. La credibilità di questo meccanismo non appare scontata e dipenderà dall’effettiva dimensione della disoccupazione frizionale, dall’efficacia dei Centri per l’impiego nel mettere in contatto domanda e offerta di lavoro, dalla convenienza delle imprese a rivolgersi ai beneficiari del reddito di cittadinanza per colmare le proprie vacancies”.
“Le famiglie numerose sono le meno tutelate”
“Rispetto all’incidenza della povertà assoluta – ha spiegato Pisauro – sono maggiormente tutelati i nuclei meno numerosi: per i monocomponenti i beneficiari sono pari all’84 per cento del totale dei poveri assoluti (4,4 per cento l’incidenza dei beneficiari, contro un’incidenza della povertà assoluta del 5,2 per cento) rispetto a circa il 77 per cento (13,7 per cento, contro il 17,8 per cento) per i nuclei con più di quattro componenti”.
Alla base di questa differenza, secondo l’Upb, “figurano anche ragioni connesse al contenimento delle risorse stanziate e dell’entità dell’assegno base a suo tempo annunciato. Questo ha indotto ad adottare una scala di equivalenza, sulla quale è parametrato il reddito di cittadinanza in funzione del numero dei componenti del nucleo familiare sostanzialmente piu’ piatta rispetto a quelle generalmente utilizzate”.
Se i 400.000 potenziali percettori del reddito di cittadinanza “che oggi sono occupati si facessero tutti licenziare, la spesa crescerebbe di 2 miliardi a regime”, è la stima fornita da Pisauro, il quale ha sottolineato che si tratta “di un’ipotesi estrema per dare l’idea di che tipo di fenomeno potenziale abbiamo di fronte”.
Tito Boeri
Boeri: “Meglio prima attrezzare i controlli”
“Il modo con cui è stato messo in atto il reddito di cittadinanza favorisce le persone single e invece dobbiamo sostenere le famiglie”, aveva invece dichiarato Boeri il giorno prima nello studio di Otto e mezzo, ” non abbiamo allo stato attuale gli strumenti per fare verifiche sul patrimonio mobiliare. Ci troviamo nella condizione di dare il reddito cittadinanza a chi non ne ha diritto. Sarebbe meglio attrezzarsi per i controlli prima di erogare il reddito”. Il 50% dei beneficiari del reddito di cittadinanza “sono nuclei senza reddito o comunque senza redditi da lavoro, nuclei tra i quali si celano anche gli evasori e i sommersi totali”, sottolinea ancora Boeri,
In audizione, Boeri aveva invece affermato che “gli effetti di scoraggiamento al lavoro sono rilevanti”. “Il problema – ha spiegato Boeri- è che il reddito di cittadinanza fissa un livello di prestazione molto elevato per un singolo e quindi, per esigenze di contenimento della spesa, adotta scale di equivalenze restrittive e un tetto molto basso, Il livello di prestazione elevato per un singolo ha come ulteriori controindicazioni il fatto di rischiare di spiazzare i redditi da lavoro”.
Secondo i dati Inps, quasi il 45% dei dipendenti privati nel Mezzogiorno ha redditi da lavoro netti inferiori a quelli garantiti dal reddito di cittadinanza a un individuo che dichiari di avere un reddito pari a zero. Sempre secondo le stime Inps, circa il 30% dei percettori del reddito di cittadinanza riceverà un trasferimento uguale o superiore a 9.360 euro netti. Boeri ha ricordato che “il valore mediano della distribuzione dei trasferimenti è attorno ai 6.000 e che è pur sempre più alto dei redditi da lavoro del 105 più basso della distribuzione dei redditi da lavoro”. Secondo Boeri, la platea del reddito di cittadinanza sarà di quasi 1,2 milioni di nuclei familiari e 2,4 milioni di persone per un costo di circa 8,5 miliardi, inclusivo delle risorse già stanziate per il Reddito di Inclusione.
Caritas: “Esclusi migranti e senza tetto”
Secondo la Caritas, infine, il reddito di cittadinanza “presenta alcune gravi criticità sui destinatari e sui meccanismi di governance” e “sul piano del metodo non ha visto meccanismi di coinvolgimento dei soggetti sociali e di Terzo settore, che sono i principali attori di solidarietà nei territori”. Pur riconoscendo che la misura “impegna una quantità di risorse non comparabile ai provvedimenti precedenti nel settore” e che dal 2020 “incrementa in maniera significativa i finanziamenti per i servizi sociali”, la Caritas – sempre audita in Commissione Lavoro – propone correttivi per “migliorare la capacità di rispondere alla multidimensionalità della povertà e per valorizzare il contributo dei diversi soggetti istituzionali e sociali”.
Diversi in punti di preoccupazione. “La previsione di una residenza di 10 anni per i beneficiari – di cui gli ultimi due continuativi – esclude i migranti regolarmente presenti sul nostro territorio e rischia di escludere le persone in condizioni di grave marginalità, in particolare i senza dimora, prescindendo dalla loro cittadinanza” mentre, viene sottolineato, “un provvedimento di contrasto alla povertà non puo’ che essere inclusivo, altrimenti crea condizioni di disagio grave o di disuguaglianza nell’accesso”. Una previsione che potrebbe comportare “una lesione dei diritti costituzionali e di previsioni normative europee, con il rischio di una revisione della norma che costringerà a modificare anche l’attuale previsione finanziaria”.
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