È l’unico stato al mondo che non ha un suo Pil. La Città del Vaticano, territorio sovrano con in cima il Papa come capo di stato, ha un suo sistema produttivo di beni e servizi, ma «in ragione delle peculiarità e della dimensione limitata della sua economia, non è possibile assegnare un valore lordo alle attività economiche svolte entro i confini dello Stato Città del Vaticano o calcolare i costi dei beni e servizi consumati al suo interno. L’indice del Prodotto Interno lordo (Pil) non è pertanto applicabile alla giurisdizione».
Il rapporto del Comitato di sicurezza finanziaria
Che non vi fosse un vero e proprio “Pil papale” era noto, ma è comunque certificato dal rapporto del Comitato di Sicurezza Finanza della Santa Sede-Vaticano sulla valutazione dei rischi, appena pubblicato. Insomma, lo stato del Papa ha anticipato i tempi e ha bruciato tutto il dibattito sull’adozione di misure alternative al Pil come misurazione del benessere di un paese. Questo non significa che dentro le mura leonine e in alcune zone extra territoriali non vengano prodotti beni o offerti servizi: i Musei Vaticani, una delle maggiori fonti di entrata attraggono oltre 6 milioni di visitatori annui, posizionandosi tra le prime posizioni e nelle classifiche mondiali. A queste voci di aggiungo quelle degli introiti da sevizi al personale come la vendita di prodotti alimentari (dalle tenute di Castelgandolfo) e al pubblico in generale, come la vendita di medaglie e francobolli.
Le entrate da offerte dell’Obolo di San Pietro e Musei Vaticani
Oltre ai Musei il grosso delle entrate deriva dalla gestione del patrimonio immobiliare – totalmente pubblico, non ne esiste uno privato – dalle varie attività tra i cui i Musei, i contributi delle chiese nazionali (in testa ci sono quelle Usa e della Germania), e dalle donazioni, principalmente l’Obolo di San Pietro e le offerte alla Elemosineria Apostolica e alle Opere Missionarie. Il bilancio consolidato del 2018 sia della Santa Sede – il governo della Chiesa Universale – sia della Città del Vaticano – lo “stato”, che fa capo al Governatorato – non è ancora stato reso noto, ma dagli andamenti degli ultimi due anni – 2016 e 2017 – emerge come tra entrate e spese ci sia un sostanziale equilibrio: le uscite sono soprattutto per opere di carità e assistenza e le spese di funzionamento della Curia, quindi i dicasteri e i media. Tra le entrate va considerato anche il “dividendo” che lo Ior versa ogni anno alle case papali (lo scorso anno oltre 31 milioni).
Bce autorizza emissione di monete in euro: 2,58 milioni nel 2018
Non c’è un pil tradizionale, quindi. E neppure debito pubblico. Ma questo non significa che non siano regole presenti nelle economie di mercato evolute. La singolarità dell’economia del Vaticano, tutta pubblica, stabilisce alcune regole molto stringenti nella conduzione dell’attività, a partire da quelli dei contratti pubblici di appalto, che a breve saranno sottoposti ad una regolamentazione molto stringente e ispirata alla Convenzione di Merida contro la Corruzione (il Revisore Generale, istituto dal Papa nel 2014 come controllore dei conti, è stato elevato anche la ruolo di autorità anti-corruzione). Il Vaticano non è membro della Ue ma da gennaio 2002 ha adottato l’euro come sua moneta ufficiale (un po’ come Montenegro e Kosovo). Il tutto è regolato da una convezione monetaria che stabilisce la possibilità per il piccolo stato di emettere monete in euro: il massimale annuo – regolato da una commissione mista Bce, Vaticano e Italia – è stato per il 2018 di 2,58 milioni di euro, di cui 318mila da coniare. Inoltre dal 21 novembre 2018 lo Stato Vaticano è stato ammesso al Sepa, quindi ha un suo “Iban”.
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