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ANSA/Trova una lapide fascista in Somalia,’cerco parenti milite’

Chiunque avrebbe tutto il diritto di provare repulsione verso quel pezzo di storia tanto ingombrante e in grado di evocare un passato doloroso per un popolo intero.
    Non è così per Mustafa Farah, 36enne funzionario somalo di una ong europea, che ha da poco riportato alla luce una voluminosa e pesante lapide fascista datata 1937, mentre assisteva ai lavori di ristrutturazione della sua casa di famiglia nella città di Belet Uen, Somalia centrale, a circa 330 chilometri a nord della capitale Mogadiscio. Ha infatti deciso di raccontare in esclusiva all’ANSA la sua insolita scoperta.
    Mustafa, fin da subito, è rimasto affascinato da quella scritta in italiano scolpita sulla pietra, con tanto di croce in cima: “Alla memoria della camicia nera Venturi Eugenio, nato il 5/5/1913, scomparso nell’Uebi Scebe (Uebi Scebeli, ndr) il 10/10/1937, XV (anno quindicesimo dell’era fascista, ndr)”, recita il cippo (alto un metro e largo alla base 40 centimetri).
    Grazie a internet il funzionario è riuscito a tradurre l’iscrizione. Non si è però concentrato, come sarebbe stato comprensibile, sui significati oscuri e inquietanti legati al ritrovamento: l’occupazione della Somalia, ai tempi dell’effimero impero coloniale di Mussolini parte dell’Africa orientale italiana (Aoi), e le tante violenze inferte dalle camicie nere del Duce sulla popolazione locale.
    Mustafa ha invece preferito rivolgersi all’agenzia di stampa italiana col desiderio di rintracciare i parenti del milite inghiottito dalle acque torbide e turbolente del vicino Uebi Scebeli, proprio nel mese di ottobre quando il fiume si ingrossa paurosamente per la stagione delle piogge. Non sono infatti stati trovati i resti dell’italiano. “Sebbene l’epoca coloniale sia stata un periodo buio e doloroso, che ha visto la nostra gente soffrire e venir trattata in modo crudele sul proprio territorio – spiega Mustafa – il rispetto per i morti viene prima di tutto”. Una scelta improntata alla pietas di fronte alla morte, in qualche modo controcorrente se si pensa alla recente protesta anti-razzista del movimento Black Lives Matter che in Occidente ha preso di mira le statue di personaggi storici dal passato colonialista e in certi casi schiavista, vissuti anche due-trecento anni fa. Anche perché il dominio fascista rappresenta invece una ferita ancora aperta nella memoria locale. “I miei nonni ritenevano che le forze coloniali fossero il male, in grado di disumanizzare la nostra gente e trattarla come inferiore. Una delle testimonianze più scioccanti riguarda quello che facevano gli italiani durante la stagione delle piogge: obbligavano i locali a distendersi dentro le pozze di fango e li usavano come ponte umano per passare senza sporcarsi”. In prima fila nella repressione (in Italia e nelle colonie) c’erano proprio le camicie nere, ovvero i componenti della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (Mvsn), corpo di gendarmeria creato nel 1922 e poi diventato una forza armata autonoma. “Chi era questo poveraccio di nome Eugenio Venturi? – si chiede comunque Mustafa – Forse ci sono alcuni suoi parenti in vita che vogliono sapere come è morto”. Nella vicenda c’è anche un particolare piuttosto macabro. “Sono rimasto scioccato quando ho saputo che il nostro edificio e quelli vicini sorgono dove si trovava il cimitero italiano. Il cenotafio (un monumento sepolcrale senza resti, ndr) è quindi rimasto a lungo nel nostro terreno”.
    Se il passato è tanto funesto e pieno di tragici ricordi gli ultimi anni per la Somalia sono stati contraddistinti da instabilità politica, guerra civile, scontri tra signori della guerra, ma soprattutto dal pericolo rappresentato dalle milizie islamiste di Al-Shabaab. Qualche speranza è data dall’attività di molte ong e dal contingente di caschi blu dell’Onu, con la missione Amisom. Dal canto suo, Mustafa con la sua International Ngo Safety Organization (Inso) cerca di aiutare e consigliare, in fatto di sicurezza, gli operatori umanitari che si muovono in un ambiente tanto ostile. Si è preso comunque l’impegno di onorare la memoria di Venturi. Sulla sua identità e provenienza geografica si possono fare solo ipotesi. Il cognome del milite è molto diffuso in Emilia-Romagna, in particolare nella provincia di Bologna. Un’analogia storica: lungo le rive dello Uebi Scebeli, nella località di Giohar (un tempo Villabruzzi), un’altra lapide ricorda il duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo di Savoia-Aosta (1873-1933), alpinista ed esploratore, che scelse di essere sepolto nella sua amata Somalia, dove aveva diretto bonifiche e fondato colonie agricole.
    Intanto Mustafa ha concluso i lavori di ristrutturazione della casa di famiglia lungo il fiume e continua a custodire il “cenotafio” di Venturi, come se ricordasse un lontano parente e non un invasore. 
   

Fonte Ansa.it

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