La sorte di Julian Assange, il 47enne hacker australiano fondatore di Wikileaks, è tutt’altro che certa. Ma ancora più nebulosa è la sorte del suo gatto, Michi, diventato celeberrimo sul web negli anni del suo confinamento nell’ambasciata ecuadoregna.
Il web si è letteralmente scatenato per capire cosa sia successo al micio, che aveva un seguito di tutto rispetto nei suoi account su Twitter e Instagram, rispettivamente 31 mila e 5 mila persone, che ora sono preoccupate del destino del felino. Nel buio pesto, le ipotesi si sprecano.
La polizia britannica ha fatto irruzione nell’ambasciata ecuadoriana e arrestato Assange per aver violato la libertà condizionale (quando nel 2012 entrò nell’ambasciata e non si presentò davanti al magistrato) ma anche per una richiesta di estradizione degli Usa. Ma il gatto? Si interrogano gli utenti del web e la stampa di mezzo mondo (dal Washington Post al New York Times, passando per The Verge): che fine ha fatto il gatto? È stato adottato? È finito in un ricovero? Rischia anche lui l’estradizione?
Il britannico Times ha telefonato in ambasciata e una voce burbera gli ha risposto in spagnolo: “Non posso dirlo per ragioni di sicurezza”. Secondo alcuni, l’Embassy Cat” – come ormai era noto il felino bianco e grigio, spesso fotografato alla finestra o sul balcone dell’ambasciata – da tempo non è più nella rappresentanza ecuadoriana. Il gatto era uno dei tanti punti di frizione tra Assange e lo staff diplomatico e nei mesi scorsi si era anche capito che la legazione aveva minacciato di sequestrarlo se l’hacker non se ne fosse occupato meglio, prendendosi cura del suo “benessere, cibo e igiene”.
Dopo l’arresto, un portavoce dell’ambasciata ha detto a Sputnik News, una testata legata al governo russo, che Michi non è più in ambasciata “da settembre”: “È stato preso dai colleghi di Assange molto tempo fa. Non è qui. Non siamo un negozio di animali, quindi non teniamo animali domestici”. Del resto a novembre lo aveva ventilato uno dei consulenti legali di Assange, Hanna Jonasson: aveva spiegato che Assange era stato minacciato di essere privato del micio e che aveva chiesto ai suoi avvocati di portarlo in salvo. “Il gatto è con la famiglia di Assange. Saranno riuniti quando liberi”, aveva twittato garrula l’avvocatessa.
Considerato però che il fondatore di Wikileaks rischia una probabile estradizione in Usa questa eventualità sembra quantomeno remota, Ma è un’ipotesi che fa pensare a un lieto fine. Non manca chi fa teorie ben più cupe. Per esempio, James Ball, un giornalista che nel 2010 lavorò per tre mesi per Wikileaks: “Per la cronaca: il gatto è stato consegnato dall’ambasciata ecuadoriana a un ricovero secoli fa”, ha twittato subito dopo l’arresto.
Consegnato a un ospizio per animali, nonostante – ha aggiunto – lui si fosse “sinceramente offerto di adottarlo”. Crudelmente Ball ha fatto pure notare che “Assange non ha alcuna famiglia nel Regno Unito”. The Verge, un popolare sito Internet americano, si è allora premurato di chiedere un chiarimento alla Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, la più importante organizzazione animalista in Gran Bretagna, e un portavoce ha replicato di non avere alcuna notizia che qualcuno abbia portato il gatto in uno dei suoi rifugi.
E allora, che fine ha fatto l'”Embassy Cat”? Nel dubbio, non resta che un’ultima ipotesi, e l’hanno fatta i giornalisti The Verge, anche in considerazione della natura sensibile del lavoro di Assange. E la conclusione è stata da libro giallo: il gatto sapeva troppo e ora è alla macchia.
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