Le ultime presidenziali americane sono state lette come uno scontro tra un candidato “del popolo” e uno delle “élite”. Ma anche le precedenti primarie democratiche lo erano state, con Hillary Clinton sempre nello stesso, ingrato ruolo. Bernie Sanders era infatti la perfetta risposta “populista” a Donald Trump, l’unico in grado di giocare sul suo stesso terreno, ma da sinistra. Nella partita contro l’ex segretario di Stato, il profilo socialista di Sanders era stato visto come un limite. All’indomani delle elezioni, in molti, tra le file del partito dell’Asinello, si domandarono invece se il senatore del Vermont dalle umili origini non sarebbe stato, al contrario, l’unico in grado di battere l’immobiliarista newyorchese, rivendicando una vicinanza con le classi meno agiate che Clinton, sponsorizzata invece dalle grandi star di Hollywood, non poteva certo vantare.
L’imperativo tra i Democratici, in vista del 2020, sembra quindi spostarsi il più possibile a sinistra. Lo testimonia l’ascesa di una figura come Alexandria Ocasio-Cortez, che funzionerà benissimo dal punto di vista mediatico ma è ancora decisamente troppo acerba per la Casa Bianca. Meglio scegliere l’originale, si sarà detto Sanders che, a sorpresa, ha annunciato la volontà di correre di nuovo per la presidenza in una fase dove di cavalli di razza ai nastri di partenza non se ne vedono ancora tantissimi. Elizabeth Warren, esempio di scuola di politico con un grande futuro dietro le spalle, si è mossa finora in maniera un po’ maldestra, cascando in tutte le provocazioni di Trump e lasciandosi coinvolgere in controversie evitabili, come quella sulle sue ascendenze cherokee con tanto di test del dna. Appare un po’ più solida la candidatura di Kamala Harris, condannata però dall’appellativo di “Obama al femminile” (anche lei è di colore) a un continuo confronto con l’ancora popolare ex presidente.
“Completiamo la rivoluzione”
Mettetevi del resto nei panni di Sanders. È stato un cane sciolto per tutta la sua carriera e ora i punti principali di quello che fu il suo programma per il 2016 sono stati fatti propri dai nuovi volti dei Democratici: dall’estensione universale del programma di assistenza sanitaria Medicare al salario minimo orario di 15 dollari, da tasse più alte per i super ricchi a una lotta più decisa al cambiamento climatico, due battaglie queste ultime sulle quali la Ocasio-Cortez sta basando buona parte del suo successo mediatico. “Diffidate delle imitazioni”, sembra essere uno dei messaggi del video con cui il 19 febbraio ha annunciato la volontà di correre un’altra volta. Video che nell’arco di una giornata è stato visto da oltre 400.000 persone su YouTube e da 5,4 milioni di utenti su Twitter. I frutti di una strategia digitale coltivata con accuratezza nei mesi scorsi, con un elevato numero di contenuti condiviso sui social network (1.000 video su Facebook e Twitter in due anni).
“Insieme io e voi con la nostra campagna del 2016 abbiamo avviato una rivoluzione politica”, ha scritto il senatore settantasettenne in un’email ai sostenitori, “ora è tempo di completarla”. E ancora: “Tre anni fa quando portammo avanti la nostra agenda progressista ci dissero che le nostre idee erano ‘radicali’ ed ‘estreme’. Ebbene, tre anni sono passati e queste politiche sono sostenute più che mai dalla maggioranza degli americani”.
Ma ancora più impressionanti sono i fondi raccolti: quasi 6 milioni di dollari in 24 ore da 220.000 donatori, segno che la base di Sanders è ancora fatta in prevalenza di cittadini comuni che versano piccole somme. Per fare un confronto, nel primo giorno dopo l’annuncio della candidatura, Kamala Harris aveva raccolto 1,5 milioni di dollari ed Elizabeth Warren appena 229.000 dollari.
Sono arrivati persino gli auguri di Donald Trump, che – durante lo scontro con la Clinton durante le primarie – aveva spesso preso le sue difese.
Crazy Bernie has just entered the race. I wish him well!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 20 febbraio 2019
Un cambio di registro
Sanders, che nel 2016 – a differenza della Clinton – aveva evitato polemiche troppo personali nei confronti dell’immobiliarista newyorchese, questa volta sta usando toni durissimi nei confronti di Trump, definendolo “il presidente più pericoloso della storia dell’America moderna”, un “mentitore patologico” nonché un “razzista, un sessista, un omofobo e uno xenofobo”. Lo staff del presidente, da parte sua, è pronto a insistere sulla pericolosità delle ricette “socialiste” di Sanders. Kayleigh McEnany, la responsabile della campagna di Trump per il 2020, si è già spesa in accostamenti con il Venezuela di Maduro.
Quali sono le ragioni di questo parziale cambio di registro? Non è una risposta sufficiente sostenere che anche le presidenziali del 2020 saranno fortemente personalizzate. La Harris, per esempio, pur non risparmiando allusioni, nel discorso inaugurale della sua campagna era riuscita a non nominare Trump nemmeno una volta. C’entra più che Sanders ha qualcosa da dimostrare all’elettorato sul fronte dell’attenzione per le minoranze e non solo perché le sue proposte sono sempre state incentrate sui temi economici. Negli scorsi anni il senatore ha infatti dovuto combattere con le accuse di molestie che le donne del suo staff affermano di aver subito dai colleghi uomini e con il fraintendimento, un po’ campato in aria, di alcune sue affermazioni sull’incapacità di alcuni candidati Democratici di attrarre il voto degli afroamericani.
Chi sarà il vice?
Il principale obiettivo di Sanders sarà raccogliere intorno a sé la sempre più nutrita sinistra dei Democratici per prevalere sull’ala centrista del partito, che non ha ancora scelto un candidato forte (i nomi che girano sono sempre gli stessi: l’ex sindaco di New York, il miliardario Michael Bloomberg, e Joe Biden, già vicepresidente durante l’amministrazione Obama). Su questo fronte la concorrenza della Harris non è da sottovalutare: l’ex procuratore generale della California (e anche qua il paragone con Obama non è peregrino) è finora l’unica figura abbastanza pragmatica e trasversale da unire le due anime dell’Asinello.
Da questo punto di vista, è prevedibile un’alleanza con la Warren, con la quale Sanders ha ottimi rapporti. Potrebbe essere lei la candidata alla vicepresidenza? Logica vorrebbe che questa volta il candidato Democratico alle presidenziali sia affiancato da una donna. Il preferito di Sanders è però un altro: il deputato del Texas Beto O’ Rourke, che il senatore del Vermont ha eletto a modello per l’intero partito dopo la sua vittoria in un feudo repubblicano come il “Lone Star State” per la sua capacità di mobilitare l’elettorato, in particolare quello più giovane.
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