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La seduta a Westminster sulla Brexit
L’accordo sulla Brexit negoziato con Bruxelles dalla premier britannica, Theresa May, è ormai carta straccia.
La Camera dei Comuni ha bocciato il piano di uscita per la terza volta, con uno scarto di 58 voti, rafforzando i timori di uno scenario ‘No deal’, un’uscita disordinata del Regno Unito dall’Ue. A nulla è servito il sacrificio politico di May che aveva offerto le sue dimissioni in cambio dell’appoggio della maggioranza dei Comuni. Il fatto, però, che la premier non abbia mai spiegato cosa avrebbe fatto in caso di sconfitta, crea adesso un clima di ulteriore incertezza e scatena le ipotesi più disparate sull’evoluzione del sofferto processo di divorzio da Bruxelles.
Di sicuro c’è solo il rifiuto
L’unica cosa che appare sicura al momento è che il Regno Unito non uscirà dall’Ue il 22 maggio, la data a cui era stata rimandata la Brexit nel caso fosse stato approvato l’accordo. Una data di uscita che peraltro Londra può superare se, come ha sempre affermato il governo, non vuole essere coinvolta nelle elezioni europee.
In attesa che Downing Street chiarisca quali saranno i passi successivi, le parole di May, subito dopo la nuova umiliazione, delineano i possibili scenari. Riconoscendo che i tentativi per trovare un’intesa in Parlamento sono ormai “al limite”, la leader dei Tory ha fatto capire di non voler chiedere alla Ue un’ulteriore estensione dell’articolo 50, legata all’approvazione in Parlamento di un piano alternativo.
Lunedì e mercoledì sono infatti attesi nuovi ‘voti indicativi’ sulle diverse opzioni per modificare l’intesa di divorzio; i deputati potrebbero provare a chiedere un rinvio lungo per poi avere una ‘soft Brexit’ e magari un secondo referendum.
Nel caso i Comuni provassero a prendere in mano il controllo del processo, la premier potrebbe rispondere chiedendo un’estensione lunga dell’articolo 50, legandola a elezioni generali anticipate.
Il tempo stringe
Nell’impasse in cui si trova Londra, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha convocato un vertice straordinario a Bruxelles il 10 aprile ed entro questa data ci si aspettano nuove proposte. Se non arriveranno, il Regno Unito dovrà lasciare l’Unione il 12 aprile, tra sole due settimane.
“Il tempo non è sufficiente per concordare, legiferare e ratificare un accordo”, ha sottolineato la May, assicurando di essere impegnata a portare a termine una Brexit ordinata e ricordando che “la Camera dei Comuni è stata chiara sul fatto che non permetterà un’uscita senza accordo”.
“Dobbiamo quindi concordare un modo alternativo per andare avanti”, ha ammonito, non dando segnali di volersi dimettere come hanno subito chiesto i falchi Brexiteers dei Tory. “Spetterà al Regno Unito indicare la via da seguire prima del 12 aprile, ma un ‘No deal’ è ora uno scenario probabile”, ha detto un portavoce della Commissione Ue.
Una delegazione di ministri pro Brexit del governo britannico si è riunita in serata con Theresa May a Downing Street. I ministri chiedono alla premier di evitare l’opzione di una soft Brexit e di procedere verso un’uscita non negoziata, il temuto scenario no deal.
Brexit, manifestanti pro e contro l’uscita del Regno Unito dall’Ue nel cuore di Londra (Wiktor Szymanowicz/AFP)
Questo mentre decine di migliaia di sostenitori dell’uscita della Gran Bretagna dall’Ue si sono radunati davanti al Parlamento per protestare contro quello che definiscono il “tradimento della Brexit” da parte del governo.
“Parlamento contro popolo” è solo uno degli slogan che si leggono sui numerosi e diversi cartelloni, branditi dai manifestanti. La polizia è stata mobilitata per intervenire in caso di violenze, mentre i dipendenti del Parlamento sono stati fatti uscire prima per paura che i manifestanti potessero aggredirli.
A scendere in piazza sono stati almeno 13 gruppi diversi. “Oggi passerà alla storia come il giorno del grande tradimento!”, ha urlato Nigel Farage, l’ex leader dell’Ukip e primo promotore della Brexit, rivolgendosi ai manifestanti pro-Leave arrivati nella capitae dopo una marcia di 14 giorni partita da Sunderland. “Bye bye Ue” è un altro degli slogan più scanditi, tra bandiere dell’Ukip e Union Jacks.
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