La reazione francese all’annuncio di Trump del ritiro Usa dalla Siria era stata immediata: la Francia rimane sul terreno in quanto alleata militare dei curdi siriani. In visita in Iraq a metà gennaio, il ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian aveva ribadito che “la lotta al terrorismo non è terminata” e che i circa 800 soldati francesi in Siria sarebbero rimasti, a fronte di circa 2000 militari americani in procinto di ripartire. “I rischi di destabilizzazione a partire dal nord-est della Siria rimarranno molto forti finché non sarà trovata una soluzione politica in Siria”. Ma a un mese dal Tweet di Donald Trump, e nonostante le parole di sostegno di Parigi, i curdi si sentono più che mai appesi a un filo.
In Iraq, i rifugiati curdi siriani sono circa 250.000. Tra i molti di loro preoccupati per le famiglie rimaste in Siria c’è Fatima Hamdou, arrivata a Erbil (nel Curdistan iracheno) quattro anni fa. “Coloro che sono ancora a Hassaké, la città siriana da cui proveniamo, ci raccontano che la situazione è ancora molto tesa tra le diverse comunità. Daech non è sconfitto e ci sono molti altri gruppi radicali nella regione. Abbiamo paura per i nostri cari, perché non sappiamo cosa succederà”.
Attivi nella coalizione arabo-curda contro Daesh, i curdi controllano un terzo del territorio siriano. La Turchia ha immediatamente minacciato un’invasione da Nord per cacciarli dalle zone frontaliere. Uno scenario che ricorda a Randi Omar, ormai rifugiato in Iraq, l’invasione di Afrin nella primavera 2018, quando l’armata turca sostenuta dalle milizie jihadiste aveva cacciato la maggioranza dei curdi dalla regione. “Se la comunità internazionale e le grandi potenze occidentali non impediscono ai turchi di entrare nel Curdistan siriano, sarà terribile. Si sbarazzeranno di noi fino all’ultimo”.
Rimanere al fianco dei curdi, un “dovere etico” per la Francia
A metà gennaio, un gruppo di deputati francesi di partiti di destra come di sinistra, aveva lanciato un appello al presidente Emmanuel Macron perché la Francia rinforzi il suo sostengo ai curdi siriani e ai suoi alleati non curdi all’interno delle FDS, Forze Democratiche Siriane. “Che la Francia prenda delle responsabilità”, avevano invocato, “interpellando il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e lavorando ad una soluzione politica negoziata, ritirando il PKK (Partito dei Lavoratori del Curdistan) dalla lista delle organizzazioni terroristiche”.
“Il sostegno della Francia alle forze curde non è semplicemente un dovere etico, ma una questione di sicurezza”, precisano i firmatari della petizione facendo allusione agli attentati che avevano sconvolto a capitale francese negli anni scorsi. “Queste forze (curde) sono stati i principali artefici della riconquista dei territori sui quali lo Stato Islamico aveva imposto le sue leggi, e da cui fomentava gli attentati che avevano insanguinato Parigi”.
Lo spettro di Afrin
Ma per quanto si mostrino rassicuranti, i francesi non riescono a scacciare lo spettro di Afrin dalla memoria dei curdi rifugiati nel Curdistan iracheno. Senghar Ahmed non è affatto ottimista su ciò che succederà nella sua regione d’origine. “Le nostre terre saranno di nuovo invase e occupate, a sud dal regime di Bashar Al-Assad sostenuto dagli iraniani, a nord dai Turchi. Recep Tayiip Erdogan e i gruppi islamisti da lui supportati attaccheranno le città frontaliere di Tel Abyad e Manbij e cacceranno i curdi come hanno fatto ad Afrin”.
“Siamo stati così ingenui”, si lamenta l’insegnante. “Pensavamo che la comunità internazionale ci avrebbe sostenuti, che gli americani sarebbero rimasti con noi fino alla fine. Ma gli occidentali sono pragmatici, Donald Trump è un uomo d’affari. Ha molti più interessi economici con i turchi che con noi, i curdi non hanno granché da offrire. Non ho più molta speranza nel futuro del Kurdistan siriano, perché penso che anche i francesi finiranno per abbandonarci”.
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