Kashmir, ancora tu. India e Pakistan vivono in queste settimane un’escalation di tensione che preoccupa la comunità internazionale. Il pomo della discordia è sempre lo stesso: la regione più settentrionale dell’India.
Da un paio di settimane si è tornati a parlare con insistenza del Kashmir. Il 14 febbraio un attentato a un convoglio militare ha ucciso 42 soldati indiani; l’attacco, lungo la strada che collega le città di Jammu e Srinagar (nel sud della regione, l’area controllata dall’India), è stato rivendicato dalla milizia pachistana Jaish-e Mohammad.
L’episodio ha provocato la reazione indiana che si è concretizzata nelle ultime ore: Nuova Delhi ha bombardato gli accampamenti di estremisti nella zona pakistana del Kashmir, sostenendo di aver ucciso 350 terroristi. Islamabad, dal canto suo, via Twitter ha fatto sapere che non ci sono state vittime né danni.
L’incursione, a prescindere dal bilancio effettivo, si è rivelata una scintilla che ha fatto esplodere la tensione. Il Pakistan, per bocca del ministro degli Esteri Shah Mahmood Qureshi, ha dapprima lamentato la violazione da parte dell’India della Linea di controllo, e poi annunciato di riservarsi “il diritto di una risposta appropriata”.
Una reazione arrivata in fretta: aerei pakistani hanno scaricato alcune bombe nel distretto di Rajouri, nell’ovest del Kashmir a pochi chilometri dal confine, senza però uccidere; l’aviazione indiana ha allora deciso di replicare una volta di più mandando due caccia nel territorio nemico. Gli aerei sono stati abbattuti da Islamabad, come confermato dal portavoce della Forza armata pakistana (Paf) Asif Ghafoor. Per qualche minuto, sul profilo ufficiale Twitter del governo pakistano, era comparso anche un video che ritraeva il pilota indiano catturato e con una benda sugli occhi: il contenuto è stato però rapidamente rimosso.
Una regione contesa dal 1947
La crisi di questi giorni in Kashmir non è la prima e difficilmente sarà l’ultima. Pakistan e India si contendono questa regione fin dal 1947, l’anno in cui cadde l’impero anglo-indiano e l’intera area si guadagnò l’indipendenza. Secondo logica il Kashmir sarebbe dovuto confluire nel Pakistan, fa notare il New York Times, esattamente come le altre regioni a maggioranza musulmana. Il suo sovrano, il maharaja Hari Singh, era però indù. Singh optò per rimanere indipendente ma, di fronte all’invasione di membri di tribù musulmani dal Pakistan, decise di chiedere aiuto militare all’India, a cui finì per cedere il Kashmir con il documento di annessione firmato 26 ottobre 1947.
Il destino dell’area è stato al centro di tre diversi conflitti, le cosiddette guerre indo-pakistane combattute tra 1947 e ’48, 1965 e 1971. Al 1972 risale l’istituzione della Linea di controllo (Loc), il confine non ufficiale che divide il Kashmir in zone di influenza: quella pakistana nel nord-ovest della regione, quella indiana nel sud-est (e in verità c’è anche una zona controllata dalla Cina, nell’estremo est).
La demarcazione, nata come linea di cessate il fuoco, per oltre quarant’anni ha consentito una tregua nei conflitti tra i due eserciti che hanno rispettato l’ordine di non attraversarla. Come riportato dal Guardian, quello indiano del 26 febbraio è stato il primo attacco aereo dal 1971 attraverso la Loc. Una mossa che ha scatenato le reazioni di queste ore.
Sul Kashmir, che nel 2000 l’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton definì come “il luogo più pericoloso del mondo”, esercitano la propria influenza tre dei sei Paesi più popolosi del mondo. L’inimicizia storica tra India e Pakistan preoccupa anche per gli armamenti nucleari di cui entrambi i Paesi sono dotati. La Cina ne ha approfittato per vestire i panni del paciere, auspicando moderazione e azioni “che aiutino a stabilizzare la situazione nella regione e migliorare le relazioni reciproche”. La stessa linea adottata dall’Unione europea.
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