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Erdogan vuole riconvertire Santa Sofia in una moschea

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Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha promesso di riconvertire Santa Sofia in una moschea. “Non sarà più un museo, il suo status cambierà e tornerà una moschea”, ha dichiarato Erdogan, tramutando in promessa quella che era sempre stata a metà tra una proposta e una provocazione.

La dichiarazione choc del presidente turco mira a consolidarne il suo ruolo di leader del mondo islamico e arriva in risposta alla decisione degli Stati Uniti di riconoscere la sovranità di Israele sulle alture del Golan.

Il presidente ha dichiarato di non accettare critiche per la decisione “da chi è rimasto in silenzio quando la moschea di Al Aqsa è stata attaccata e calpestata”. La conversione di Santa Sofia è per Erdogan uno scatto per risarcire il mondo islamico dei torti subiti da altre parti del mondo, in particolare in Palestina, ma anche in Nuova Zelanda.

Il presidente dopo la strage nelle moschee di Christchurch, non ha risparmiato critiche a stampa e politica occidentali, accusate di aver usato un linguaggio che ha fomentato razzismo e islamofobia. La difesa dell’Islam e dei musulmani è finita così tra i temi utilizzati per serrare i ranghi in attesa delle elezioni amministrative del prossimo 31 marzo e la promessa di convertire Santa Sofia costituisce un facile argomento per catturare voti tra le frange più nazionaliste e conservatrici.

 Erdogan

Uno status dibattuto

Lo status di Santa Sofia è sempre infatti stato dibattuto. Già nel 2016 il suono del muezzin che annuncia ai fedeli l’inizio della preghiera tornò a riecheggiare dai minareti che alla basilica furono aggiunti dal grande architetto ottomano Sinand, e che da allora svettano sulla penisola storica di Sultanahmet a Istanbul. Per la prima volta negli ultimi 85 anni l’imam ha compiuto il richiamo direttamente dall’area che era moschea e ancora prima basilica cristiana. L’occasione fu la notte del Laylat al-Qadr, ricorrenza che ricorda la notte in cui il Corano fu rivelato per la prima volta. 

La scelta ha scatenato la reazione della Grecia, che ha sempre criticato questa a livello ufficiale. Critiche sempre rispedite al mittente dal governo dell’Akp di Erdogan. In soccorso al mantenimento dello status quo di Santa Sofia si è pronunciata la Corte costituzionale, che lo scorso anno ha rigettato l’istanza di un’organizzazione ultranazionalista vicina all’Akp, le Alperen Ocaklari, definendo “irricevibile” la richiesta di aprire ai riti della religione islamica la basilica. Tale fu infatti concepita quando fu costruita nel VI secolo, per volere dell’imperatore Giustiniano e della moglie Teodora, immortalati in uno splendido mosaico bizantino all’interno.

Santa Sofia ha servito da chiesa di rito greco ortodosso per 916 anni, fino al 1453, quando le truppe del Sultano Fatih ne violarono l’ingresso, trovandovi asserragliati all’interno gli abitanti di quella che nacque Bisanzio, divenne nel 330 Costantinopoli e che da allora in avanti fu chiamata Istanbul. Iniziò così la seconda vita di Santa Sofia, che divenne una moschea e fu arricchita dai quattro enormi minareti di Sinan, prima che l’ennesima svolta nella storia della città la tramutasse in museo. Era il 1935, Santa Sofia veniva chiusa al culto e aperta ai turisti per volere del fondatore della Repubblica turca, Mustafa Kemal Ataturk, il padre di una Turchia in cui non c’era più spazio per la religione.

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