Due partiti moderati a contendersi la vittoria, pulsioni anti-Ue irrilevanti, malcontento sociale che stenta a coagularsi. L’Irlanda è un’isola a parte anche dal punto di vista politico nell’Europa che vota nel fine settimana per rinnovare il parlamento di Strasburgo, al di là delle inquietudini comuni al continente sulle incognite della Brexit che a Dublino e dintorni – dati i legami con l’odiato-amato grande vicino britannico – diventano allarme autentico.
MODERATI FILO EUROPEI AVANTI
La sfida, consumatasi nei 6500 seggi sparsi per la Repubblica, si è giocata ancora una volta – primi exit poll alla mano – fra il Finn Gael attualmente al governo del premier Leo Varadkar e i rivali storici del Fianna Fail di Michael Martin, membri rispettivamente della famiglia popolare europea del Ppe e di quella liberale dell’Alde: entrambi indicati attorno al 23% come quota nazionale, ma con il primo, fermamente europeista, in testa in due circoscrizioni su tre. Una garanzia di equilibrio non destinata certo a produrre scossoni a Bruxelles né allo status quo. A maggior ragione se si considera che la minore delle isole britanniche elegge in totale nella prossima Euro-assemblea (esclusi i tre dell’Irlanda del Nord) non più di 13 parlamentari: due dei quali peraltro congelati fino a quando il Regno Unito non troverà il modo di uscire formalmente dall’Ue, cedendo la sua quota di rappresentanti.
BOOM DEI VERDI A DUBLINO COL 23%
A sinistra è rimasto indietro lo Sinn Fein tutto al femminile del dopo Gerry Adams, dato in calo al 12%, mentre la novità è rappresentata dai Verdi che, denunciando fra l’altro l’emergenza dei mutamenti climatici, hanno fatto un balzo dall’1,6 al 9%: e – grazie alla concentrazione territoriale dei consensi – potrebbero portare a casa da uno a tre eletti. Da segnalare il clamoroso exploit green nella circoscrizione di Dublino dove il candidato dei Verdi Ciarán Cuffe ha portato a casa il 23% delle preferenze. Stagnante invece il Labour al 6%. Sorprese limitate, comunque, per un Paese pure alle prese con contraddizioni sociali, sacche di povertà e nel quale non mancano polemiche sulle più recenti riforme ‘liberalizzatrici’ del governo Varadkar. Ma dove comunque oltre il 90% della popolazione, secondo alcuni sondaggi, considera l’appartenenza all’Ue una garanzia da non mettere in discussione.
L’APPRENSIONE IRLANDESE PER LA BREXIT
Un Paese che guarda del resto con speciale apprensione alle convulsioni del Regno Unito sulla Brexit, auspicando come nessun altro che il divorzio sia soft: per evitare qualsiasi ombra su quel confine senza barriere fra la Repubblica e l’Irlanda del Nord divenuto un suggello della pace dell’accordo del Venerdì Santo del 1998, nonché una porta aperta al libero passaggio delle persone e a intensi, fruttuosi e vitali scambi economico-commerciali. Paese che per il resto continua per la sua strada. Inclusa quella – non più da ‘cattolicissima Irlanda’ – di una secolarizzazione accentuata che trova conferma nel voto di un referendum convocato – assieme alle Europee e a una tornata di consultazioni amministrative – sul divorzio sprint e sull’abolizione dei 4 anni di separazione necessari finora: con gli exit poll che danno i Sì avanti con l’87% delle preferenze.