Sono fortissime le pressioni su Theresa May, il tempo stringe. Lunedì il governo è chiamato a presentare il “Piano B” della Brexit e a spiegare i prossimi passi. Ma quali sono gli scenari più plausibili e le opzioni che Londra ha davanti a sè dopo la sonora bocciatura dell’accordo con Bruxelles volto a garantire un’uscita “regolata” della Gran Bretagna dall’Unione europea? Eccone alcuni.
Un secondo referendum
Nonostante la premier abbia espresso la sua più netta contrarietà, cresce il numero di chi si esprime a favore di una nuova consultazione del popolo britannico sull’addio alla Ue. Mercoledì 71 deputati del Labour hanno firmato una petizione in questo senso, con l’appoggio dello Scottish National Party, dei liberali, dei Verdi e di qualche deputato Tory.
May insiste che bisogna rispettare la volontà già espressa dal popolo, ma tra i deputati c’è chi intende presentare una sorta di emendamento all’ipotetico Piano B che la premier dovrà esporre la settimana prossima. Il voto che ne seguirà potrebbe diventare pericoloso solo se il leader laburista Jeremy Corbyn, anche lui contrario a una nuova consultazione, cedendo alle pressioni – non solo tra le proprie fila – dovesse essere forzato a cambiare idea.
Una nuova trattativa con l’Ue
Finora Bruxelles e quasi tutte le capitali d’Europa hanno escluso che si possano riaprire i negoziati con Londra. Al centro della questione c’è sempre il “backstop”, ossia il meccanismo che permetterebbe di avere un confine “non rigido” tra Irlanda del Nord – che fa parte del Regno Unito – e Repubblica dell’Irlanda una volta formalizzata la separazione della Gran Bretagna dalla Ue.
I negoziatori avevano stabilito che se non si riuscisse a mettere in piedi un’intesa di libero scambio, Londra sarebbe rimasta nell’unione doganale. Tuttavia tanti a Westminster temono che in questo modo il legame con l’Unione europea rimanga troppo forte: è per questo che May aveva tentato di convincere Bruxelles – inutilmente – a fissare una data finale per il backstop.
Il voto anticipato
I laburisti già da tempo hanno aperto, sia pur non ufficialmente, la loro campagna elettorale. Corbyn l’ha detto: vorrebbe sostituire May a Downing Street per negoziare “un trattato migliore”. E non esclude di sottoporre la premier di nuovo alla prova della fiducia, nonostante che il primo tentativo sia fallito. Quel che appare chiaro che in caso di ritorno alle urne il termine d’uscita dalla Ue verrebbe comunque rimandato. Il che rende l’opzione meno probabile, dato il fuoco di fila degli ultrà della Brexit.
I Conservatori si spaccano
Tra gli osservatori, c’è chi prevede una spaccatura dei Tories se May dovesse decidere di andare incontro alle richieste del Labour, per esempio in tema unione doganale o sull’opzione “norvegese”, che implicherebbe comunque un legame stretto con il mercato europeo nonostante la Brexit. Il problema e’ che un passo di troppo in direzione laburisti potrebbero costare a May l’insurrezione di molti ultrà tra le proprie fila. Un rischio forse troppo alto, se vuole rimanere al suo posto.
Il leader del partito laburista britannico Jeremy Corbyn
Il “No deal”
In teoria nessuno vuole arrivare a tanto: ma se la logica dei fronti contrapposti impedirà un compromesso e se Londra non riuscirà a strappare un allungamento dei tempi, la Gran Bretagna il 29 marzo abbandonerà l’Unione europea senza un accordo, senza un piano coerente che regoli in termini di diritto l’uscita dall’Unione, senza una fase transitoria, senza certezza per cittadini e imprese come muoversi a cavallo tra il prima e il dopo.
Il mondo del commercio, dell’industria e degli affari ha già lanciato l’allarme ai livelli più alti. C’e’ un’alternativa, proposta da alcuni tory: una legge che vieti una Brexit senza accordo, secondo la quale se dovesse naufragare anche il “Piano B”, il governo sarebbe obbligato a rinviare l’uscita dalla Ue fino alla fine dell’anno. Praticamente un’agonia.
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