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I ghiacci dell’Everest si sciolgono. E restituiscono cadaveri

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Le temperature sempre più elevate a causa dei cambiamenti climatici stanno facendo sciogliere i ghiacciai dell’Everest. Una delle conseguenze è la restituzione in numero sempre maggiore di corpi senza vita di alpinisti deceduti nell’impresa di scalare il monte più alto del mondo. Secondo stime diffuse, finora 4800 scalatori hanno affrontato la sfida, ma di questi circa 300 sono morti e si trovano tutt’ora sepolti nella neve e nel ghiaccio.

“Per via del riscaldamento globale gli strati di ghiaccio e i ghiacciai si sciolgono più velocemente. Corpi rimasti sepolti in tutti questi anni stanno ora riaffiorando. Abbiamo già portato giù i cadaveri di alcuni alpinisti morti negli ultimi tempi, ma ora ad essere visibili sono anche quelli di periodi precedenti”, ha raccontato alla Bbc Ang Tshering Sherpa, ex presidente della Nepal Mountaineering Association. “Negli ultimi anni braccia e gambe di corpi senza vita sono riapparsi al Campo 1, al Campo 4 e alla Seraccata del Khumbu. Abbiamo notato che il livello del ghiaccio ai campi base sta scendendo ed è per questo che un numero maggiore di corpi viene esposto”, hanno testimoniato operatori di una ong attiva nella regione.

Il recupero dei corpi degli scalatori deceduti rappresenta una sfida per le autorità governative e le associazioni competenti sia sul versante cinese che su quello nepalese. Si tratta di operazioni complesse: riportare a valle un corpo senza vita ha un costo molto elevato, che varia tra 40 e 80 mila dollari, in base all’altitudine e al punto in cui viene rinvenuto. Ma è anche un’impresa rischiosa, che richiede una missione di almeno otto sherpa, anche in considerazione del fatto che un corpo di 80 chilogrammi ne pesa mediamente 150 quando è ghiacciato.

Con l’arrivo della primavera la Cina procederà a una campagna sul versante tibetano per recuperare i corpi di 17 alpinisti morti a quota 7700-8750 metri, oltre a far pulizia dei rifiuti lasciati dalle spedizioni degli ultimi anni. Per questi motivi a gennaio scorso le autorità di Pechino hanno deciso che non verranno rilasciati permessi di scalata per la prossima primavera. Anche i trekking si dovranno fermare al Monastero Rongbuk senza quindi raggiungere il campo base.

“Se riescono a farlo sul versante tibetano dell’Everest, allora potremmo farlo anche sul nostro. È una questione che deve diventare prioritaria per i due governi e tutti gli operatori del settore”, ha sottolineato Dambar Parajuli, presidente dell’Associazione degli operatori delle spedizioni del Nepal (Eoan). 

I corpi più “antichi” rimasti sull’Everest si trovano lì dagli anni ’20 del Novecento, quando ci furono le prime spedizioni per cercare di raggiungere la vetta. La maggior parte, però, risale agli anni ’80, quando il monte iniziò a diventare una meta turistica. Corpi di sherpa e alpinisti si trovano ovunque, nei crepacci, sepolti sotto valanghe, visibili lungo i pendii.

Uno dei cadaveri più famosi è quello di Tsewang Paljor, alpinista indiano morto a 28 anni nella tempesta del 1996, la cui storia è raccontata nel film “Everest”, uscito in Italia nel 2015. Paljor è morto indossando degli scarponi verdi ed e’ conosciuto come “Green Boots”. Nei periodi in cui c’è poca neve i suoi scarponi verdi sono diventati un punto di riferimento per gli alpinisti che hanno dovuto passare sopra le sue gambe nel loro percorso verso la vetta a 8848 metri.

“Rimuovere il cadavere di un’alpinista deceduto sul terreno è anche una scelta molto personale. Molti di quanti scalano la montagna vogliono rimanere lì, in caso di morte. Quindi sarebbe irrispettosi spostarli, a meno che i familiari lo richiedano o che debbano essere rimossi dalla pista per consentire il transito”, ha fatto notare Alan Arnette, noto scalatore statunitense. 

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