MIGUEL MEDINA / AFP
Olli Kotro (Partito dei finlandesi) Joerg Meuthen (Alternativa per la Germania), Matteo Salvini (Lega Nord) Anders Primdahl Vistisen (Partito dei Danesi)
Fu come una scossa elettrica, quando nel settembre del 2017 fecero il loro primo ingresso nel Bundestag: dalla fine della seconda guerra mondiale mai esponenti dell’ultradestra erano entrati nel parlamento tedesco. Fondata nel 2013 come formazione prevalentemente euroscettica da un professore di economia, Bernd Luecke, nel tempo l’Afd (Alternativa per la Germania) – oggi chiamata da Matteo Salvini a formare insieme l’alleanza sovranista per le Europee – ha messo a segno una progressiva mutazione politica, con un progressivo ma inarrestabile scivolamento verso il populismo nazionalista più spinto, una forte caratura anti-migranti e alcune simpatie che in diverse realtà confinano, a detta delle Procure, con l’estremismo.
Due anni fa i parlamentari dell’Afd, oggi guidati da Alice Weidel, Alexander e Joerg Meuthen (ospite della kermesse della Lega a Milano), scombussolarono non poco gli equilibri politici in in Germania, ponendosi con il 12,7% dei consensi come prima forza d’opposizione del Paese.
Un Paese, nel quale essere all’opposizione comporta un ruolo istituzionale di primo piano. Motivo per cui ancora oggi è soprattutto guardando ai sondaggi dell’Afd che le altre forze politiche continuano a fare scommesse sul proprio futuro politico: dopo le Europee, l'”appuntamento del destino” sono le tre elezioni in del Brandeburgo, Sassonia e in Turingia, dove l’ultradestra è particolarmente forte, con sondaggi superiori al 20%.
Un destino non per forza roseo
Eppure non è tutto rose e fiori nel futuro dell’Afd. A cominciare dalle Europee, che non si annunciano come una passeggiata per l’ultradestra tedesca. Da una parte gli 007 interni che hanno messo “sotto osservazione” ampi strati del partito (proprio per il sospetto di eccessiva “simpatia” con frange ai limiti dell’eversivo), dall’altra le molte accuse di aver ricevuto, ai livelli più alti, fondi neri per le proprie campagne elettorali. Nel mirino anche la capogruppo al Bundestag Weidel e il candidato di punta alle Europee Meuthen.
A livello parlamentare, ha avuto poi un peso non indifferente la vera e propria barriera opposta dagli altri partiti. è di pochi giorni fa l’ennesima bocciatura di un candidato dell’Afd alla carica di vicepresidente del Bundestag, un ruolo che normalmente è assegnato per l’appunto alla forza maggiore dell’opposizione: la 44enne giurista e deputata Mariana Harder-Kuehnel si è dovuta accontentare di 199 voti a favore, in 423 le hanno votato contro.
Molto burrascosi, per non dire pessimi, i rapporti con sia con la Chiesa, mentre il Consiglio centrale degli ebrei tedeschi continua a lanciare l’allarme, affermando che l’Afd è una formazione che tollera con troppa facilità posizioni antisemite al proprio interno. Una serie di fattori che hanno contribuire a bloccare, finora, l’ascesa dei consensi, bloccati a sondaggi inferiori a quelli con cui uscirono dalle urne nel 2017.
Un progressivo spostarsi a destra
Il punto è che lo scivolamento verso l’ala più nazionalista non si è mai fermato: prima, con l’avvicendamento di Luecke a favore della pasionaria Frauke Petry, poi con le dimissioni di quest’ultima a favore di Weidel, Gauland & Meuthen. Ogni volta è stato il nazionalismo più spinto il piatto sul tavolo: esempio classico è il leader del partito in Turingia, Bjorn Hoecke, colui che aveva scatenato una bufera chiamando “una vergogna” il memoriale dell’Olocausto a Berlino e chiesto “una svolta a 180 gradi” della cultura della memoria in Germania.
Accusato dagli storici di ricorrere ad un frasario proprio del Terzo Reich, ad un certo punto Hoecke rischio’ l’espulsione dal partito: la allora leader Frauke Petry non ci riusci’. Ed è un fatto che fu lei, pochi mesi dopo, a dover fare le valigie. Oggi i sondaggi nazionali bloccano l’Afd appena sopra l’11%.
La vera partita, come detto, Weidel & co intendono giocarsela soprattutto nei Laender dell’est, nell’ex Ddr. In Sassonia, per esempio, l’ultradestra tallona da vicino la Cdu, mentre i socialdemocratici arrancano nei piani bassi dei sondaggi e i Verdi appaiono ancora come degli alieni. Non è un caso che all’Est il partito abbia organizzato oltre 800 eventi di campagna elettorale, sulla base della sua strategia più classica: battere e ribattere sull'”immigrazione di massa” che finirebbe per sfigurare il Paese e che, a loro dire, è sinonimo di drastico aumento della criminalità.
Con qualche eccesso: alcuni esponenti del partito a Chemnitz hanno marciato a fianco delle frange più estreme, in cortei che finirono per trasformarsi in una vera e propria “caccia allo straniero”. I capi dell’Afd lo ripetono come un mantra: “Ad Est intendiamo scrivere la storia”. In molti a Berlino molti temono che possa essere vero.
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