Roma – Porre fine alla guerra grazie a un’opposizione civile che scavalchi fronti e confini. E ripensare l’Europa sostituendo ai nazionalismi un impegno fondato sulla sicurezza umana e la democrazia piuttosto che sulle armi. Imparando da 30 anni di errori e lavorando insieme con la Russia.
Guarda avanti, oltre la sofferenza e i bombardamenti in Ucraina, Dmitrij Makarov. Giurista russo, 39 anni, prima e dopo la caduta del Muro di Berlino è cresciuto tra due Europe, nessuna delle quali è quella giusta. Nell’intervista con l’agenzia Dire, oltre a guardare avanti parte da lontano. Almeno dalla data di nascita dell’organizzazione che rappresenta, la più longeva in Russia sul terreno della difesa dei diritti umani: il Gruppo Helsinki di Mosca, costituito nel 1976 dopo gli accordi sottoscritti nella capitale finlandese da 35 Paesi che avevano provato a immaginare un’Europa della cooperazione e della sicurezza oltre la contrapposizione est-ovest.
“Questo continente non finisce ai confini dell’Unione Europea e non dovrebbe più essere diviso da frontiere invalicabili o cortine di ferro” sottolinea Makarov. Parla da Mosca, nonostante, sottolinea, negli ultimi anni e poi ancora nelle ultime settimane gli spazi di libertà si siano ristretti. “Ma il Gruppo Helsinki c’è l’ha fatta ai tempi dell’Unione Sovietica e non ha nessuna intenzione di fermarsi adesso” assicura: “Continuiamo a sostenere e riunire le organizzazioni impegnate in Russia per i diritti umani e contro la guerra; lo facciamo rinunciando ai finanziamenti dall’estero per non essere etichettati come ‘agente straniero’ ma tutelando i collaboratori che si trovano in altri Paesi, perché questi rapporti sono parte del nostro dna”.
Secondo il rappresentante del Gruppo Helsinki, partner della campagna della società civile Sbilanciamoci anche in Italia, è la prospettiva che conta. “Se vogliamo la pace in Europa è importante che gli attivisti contro la guerra sia in Occidente che in Russia superino una visione contrapposta del mondo” dice Makarov. “Ed è fondamentale che coloro che si oppongono al militarismo e alla corsa agli armamenti in Occidente si impegnino in un dialogo con coloro che lottano per la pace e i diritti umani in Russia e che trovino insieme il modo di perseguire obiettivi comuni”.
Secondo Makarov, Vladimir Putin non è l’unico responsabile del conflitto cominciato in Ucraina il 24 febbraio. Ci sono i suoi collaboratori e c’è “un modo di pensare vecchio”, questa la tesi, oltre a una serie di errori accumulati negli anni anche in Occidente. Si parla dell’espansione della Nato verso est, addotta dal Cremlino come una delle giustificazioni della campagna ucraina. “Andò così, nonostante le speranze di una smilitarizzazione dell’Europa, sia per inerzia, in risposta alle richieste degli aspiranti membri dell’Europa centrale e orientale, sia in conseguenza della pressione del complesso militare-industriale” denuncia Makarov. “Putin avrebbe agito in modo aggressivo anche senza l’espansione della Nato ma non era affatto necessario che l’Occidente gli fornisse un pretesto; si è persa l’occasione per riorganizzare l’architettura dell’Europa mettendo al centro la sicurezza umana piuttosto che la sicurezza nazionale, il multilateralismo piuttosto che la geopolitica”.
E oggi cosa si può fare? “Si può cominciare dal fatto che anche in Russia ci sono persone che si impegnano per creare un’alternativa e che, nonostante gli arresti dopo le manifestazioni di piazza delle settimane scorse, conservano il loro coraggio” risponde Makarov. Il suo sguardo è già oltre la guerra: “Prima o poi dovrà finire; e per la nuova Europa dovremo farci trovare pronti”.
Agenzia Dire