Quando Pablo Escobar era il boss del narcotraffico più ricco e temuto del mondo, poteva permettersi qualsiasi cosa. Persino avere un serraglio privato con animali esotici da tutto il mondo a Villa Napoles, la sua lussuosa tenuta. Rinoceronti, elefanti, giraffe. E ippopotami. A differenza dei loro compagni di prigionia, smistati dalle autorità colombiane in diversi zoo dopo la morte di Escobar, avvenuta nel ’93, questi ultimi sono stati lasciati liberi di proliferare nel fiume Magdalena, che si è rivelato un ambiente ideale per loro. Privi di predatori naturali, i quattro pachidermi posseduti da Escobar – tre femmine e un maschio – hanno dato vita a una popolazione di oltre cinquanta ippopotami, che costituiscono una minaccia sempre più seria sia per l’ecosistema che per la popolazione dei piccoli villaggi di pescatori presenti nell’area.
Sebbene non si siano ancora verificati incidenti, questi bestioni di tre tonnellate, in natura diffusi solo nell’Africa subsahariana, sono molto pericolosi per l’uomo. Essendo fortemente territoriali, gli ippopotami attaccano chi percepiscono come un estraneo, soprattutto in presenza della prole, e in Africa sono la prima causa di morte tra le persone che vengono uccise da un animale (a dispetto della stazza, possono correre a una velocità di 30 chilometri orari).
In teoria, gli animali dovrebbero restare confinati nella tenuta, oggi trasformata in un parco a tema. In pratica, nessuno può impedire loro di sconfinare nei pressi delle aree abitate. E così gli ippopotami sono diventati una visione consueta per gli abitanti della zona, che li chiamano con affetto “cuccioli del villaggio” e si sono ormai abituati a vederli girare per le strade dei paesi e sconfinare nelle fattorie per nutrirsi delle verdure dell’orto. “Sono come i cani, se si sa come trattarli, andrà tutto bene”, racconta alla Cbs un pescatore locale, Pablo José Mejia.
Il biologo David Echeverri, incaricato dal governo colombiano di monitorare gli ippopotami, è invece di diverso avviso: “Se continuano a moltiplicarsi è solo questione di tempo finché qualcuno non resterà ferito”. Echeverri teme inoltre che i pachidermi siano già diventati una specie invasiva e che stiano scacciando dal loro habitat la fauna locale, come i lamantini. Sono stati inoltre registrati danni agli allevamenti, con alcuni vitelli morti schiacciati dagli ippopotami.
“Una bomba a orologeria”
Che fare? Eliminarli non si può, la popolazione si è affezionata a loro e si tratterebbe di una scelta molto impopolare. “Non possiamo semplicemente uccidere gli ippopotami”, spiega Echeverri, “una soluzione è spostarli o sterilizzarli”. Una soluzione che sarebbe però costosa e complicata da attuare. E non solo perché tutti gli zoo del Paese sono al completo. Gli ippopotami sono infatti molto sensibili alla sedazione e non è difficile che muoiano dopo essere stati narcotizzati. Ed è molto difficile trovare un veterinario disposto a correre i rischi che comporta il tentativo di castrare un ippopotamo.
Mentre le autorità rimangono indecise sul da farsi, gli ippopotami continuano a riprodursi a ritmi frenetici. Carlos Valderrama, uno dei veterinari incaricati del monitoraggio, ha spiegato che in Africa gli animali diventano sessualmente maturi tra i sette e i nove anni se maschi e tra i nove e gli undici anni se femmine. Gli ippopotami di Escobar, invece, iniziano a riprodursi già a tre anni e ogni femmina sta dando alla luce una media di un cucciolo all’anno. Una situazione che il Wwf ha definito una “bomba a orologeria”. A oltre 25 anni dalla sua morte, Pablo Escobar continua a creare problemi al suo Paese.
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