Un sondaggio pubblicato da Le Figaro in vista delle elezioni europee attesta la Republique En Marche (Lrem), il partito di Emmanuel Macron, primo al 22%, con due punti di distacco sul Rassemblement National di Marine Le Pen. Non una percentuale da capogiro (per quanto da inquadrare in un sistema politico piuttosto frammentato, anche a destra) ma sintomatica della possibilità che il calo dei consensi del presidente francese abbia superato il picco negativo. Un’altra rilevazione di Odoxa dà infatti la popolarità di Macron (ovvero, la percentuale di cittadini che lo considerano un “buon presidente”) al 32%. Una cifra che equivale sì a meno di un terzo del campione ma costituisce un salto di cinque punti rispetto al minimo del 27% registrato a dicembre, quando il fenomeno dei gilet gialli diede voce alla rabbia della Francia profonda.
Un movimento sempre più frammentato
Cosa è cambiato nel frattempo? In molti sostengono che larga parte della popolazione si sia stancata dei disordini che coincidono con le manifestazioni dei gilet gialli, citando fenomeni come quello dei “foulard rossi”. Questi ultimi sono però espressione dei ceti urbani, laddove, almeno sulla carta, i gilet gialli sarebbero espressione delle comunità rurali che si sentono emarginate. Appare più convincente imputare il relativo sgonfiamento del fenomeno alla frammentazione del movimento, incapace di esprimere un orientamento unitario o una lista unica da presentare alle elezioni europee di maggio.
Come ha insegnato il caso che ha coinvolto il M5s, anche a voler separare l’ala più accesa e movimentista da quella “dialogante” che intende costituire un’organizzazione politica da portare al Parlamento di Strasburgo (per la cronaca, Christophe Chalencon, quello che evocava la guerra civile, apparterrebbe a quest’ultima), è estremamente difficile orientarsi nel dibattito interno ai gilet gialli, un movimento con tanti capi e tante correnti i cui equilibri e rapporti reciproci mutano in modo vertiginoso. Ciò può aver disilluso molte persone che inizialmente avevano guardato con simpatia al movimento. E le manifestazioni del sabato non sono più affollate come quelle, oceaniche, di due mesi fa. Sempre secondo Odoxa, la percentuale di francesi che ritiene la protesta debba fermarsi è salita al 55% dal 49% del mese scorso.
Non solo. È possibile che la “Grande Consultazione Nazionale” lanciata da Macron abbia contribuito a smussare un poco la sua percezione come portatore degli interessi delle élite chiuso nella sua torre d’avorio. Senza contare che la proposta che innescò la protesta, il rincaro del carburante, è stata per il momento ritirata. I gilet gialli, per poter reggere, avrebbero dovuto dunque elaborare una piattaforma di rivendicazioni più ampia e strutturata, cosa che non è avvenuta.
Un “lungo esercizio di ascolto”
“Il lungo esercizio di ascolto ha prima di tutto catturato l’attenzione dei cittadini francesi”, sostiene Charles Lichfield, analista del gruppo Eurasia, “in secondo luogo ha coinciso con una visibile radicalizzazione di coloro che ancora insistono a protestare ogni sabato. La popolarità di Macron sta aumentando e il sostegno alla protesta sta calando”.
Per Macron sarà comunque complesso mantenere le costose promesse con le quali ha sedato la protesta, dalla detassazione degli straordinari all’aumento del salario minimo, fino alla cancellazione (entro una certa soglia) dell’aumento dell’imposta sulle pensioni. Tutte misure che, applicate nella loro interezza, porterebbero a un consistente aumento del deficit. E la protesta dei gilet gialli non deve far dimenticare che Macron ha anche altri problemi: dall’affare Benalla al viavai di ministri all’interno del governo. Insomma, la sua popolarità sarà pure in ripresa ma gli restano da convincere oltre due terzi dei francesi.
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