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Aalah Salah
Una donna vestita di bianco sul tetto di una macchina che intona un canto di protesta in mezzo alla folla col dito puntato verso il cielo è diventata il volto delle proteste contro violazioni dei diritti umani, corruzione e carovita in Sudan.
La giovane manifestante viene presentata come una ‘Kandaka‘, una ‘regina nubiana’ nel video che sui social è diventato virale, condiviso centinaia di migliaia di volte in 72 ore. La ritrae mentre canta, seguita a ritmo da migliaia di manifestanti. In pochi secondi la ‘Kandaka’ si rivolge alla folla: “La religione dice che quando gli uomini vedono qualcosa di sbagliato, non possono starsene zitti”. E poi grida con convinzione: “Mia madre è una Kandaka”, le regine all’epoca del regno Kosk.
Ma chi è la regina nubiana diventata simbolo della inneggiando alla ‘Thawra’, la rivoluzione? Alaa Salah, 22 anni, già ribattezzata “regina nubiana”, è una studentessa di architettura a Karthoum e la mamma è una stilista che lavora con gli abiti tradizionali sudanesi. Proprio l’abito bianco che indossa nel video, il tobe, ha contribuito al successo che la militante e il suo intervento si sono conquistati a livello mondiale.
Al Guardian, Alaa ha raccontato perché è scesa in piazza contro il governo. “Sono molto felice che la mia foto abbia permesso alle persone nel mondo di conoscere della rivoluzione in Sudan”, ha dichiarato, “fin dall’inizio delle proteste, sono scesa in piazza ogni giorno e ho partecipato alle manifestazioni, perché i miei genitori mi hanno insegnato ad amare il mio Paese”.
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Aalah Salah
Alaa ha criticato l’annuncio dell’esercito che ha deposto il dittatore Omar Bashir sostituendolo con un consiglio militare di transizione. Le migliaia di manifestanti che sono scesi in strada per festeggiare la caduta di Bashir, gridano slogan contro i militari. “Accetteremo solo un governo di transizione civile”, ha dichiarato Alaa, “qualsiasi altro piano sarà inaccettabile”.
Il tobe era indossato anche dalle donne chem negli anni ’60, ’70 e ’80, scendevano in piazza contro le dittature militari dell’epoca e per questo è diventato simbolo delle proteste al femminile. Per questo, Alaa ha detto di aver rischiato l’arresto quando lo ha indossato in precedenti manifestazioni. “Il tobe ha una sorta di potete e ci ricorda delle Kandaka”, ha aggiunto la ragazza, riferendosi appunto alle regine nubiane del regno di Kush, che ha governato per oltre tremila anni su quello che oggi è per la maggior parte il moderno Sudan.
“Il giorno in cui mi hanno fotografata”, ha poi concluso, “ero andata a 10 diversi raduni e ho letto poemi rivoluzionari. All’inizio ho trovato un gruppo di sei donne e ho cominciato a cantare, loro mi hanno seguito, e la gente è arrivata sempre più numerosa”
Per alcuni media africani e occidentali, l’immagine di questa giovane manifestante, scattata l’8 aprile a Khartoum, potrebbe diventare uno dei simboli della contestazione. Proprio per ottenere il sostegno di numerose sudanesi, chi ha diffuso foto e video ha ricordato la storica tradizione di impegno politico e sociale delle donne, sia nei ranghi dell’opposizione che nelle proteste di piazza. Dall’inizio delle proteste anti-regime in Sudan la partecipazione delle donne, alcune delle quali hanno anche affrontato fisicamente gli agenti di polizia, è stata molto attiva.
E’ successo lo scorso 14 marzo quando una manifestante ha raccolto da terra e rilanciato alle forze dell’ordine i lacrimogeni. In occasione del sit-in del 7 aprile al quartier generale dell’esercito nella capitale, a guidare la protesta è stata un’altra donna, la madre di Hazza, un giovane ucciso dai poliziotti durante l’insurrezione popolare del 2013, celebrato dalla folla come un martire.
Una delle figure più influenti della scena politica sudanese è Mariam al-Mahdi, figlia di Sadek al-Mahdi, capo del principale partito di opposizione al-Umma. A marzo è stata arrestata e condannata a una settimana di carcere per il suo attivismo politico.
Nelle organizzazioni giovanili della società civile le donne sono ben rappresentate, sulla scia del movimento studentesco sudanese del 2012, ispiratosi alle primavere arabe. All’inizio del 2018 le studentesse dell’Università femminile di Ahfad a Omdurman – uno degli epicentri dell’attuale ‘intifada’ – si erano mobilitate contro le violenze subite all’interno del campus. Canto, poesia e improvvisazioni teatrali sono le forme di protesta più diffuse tra le manifestanti.
La presenza crescente di donne sul fronte della contestazione del potere di Bashir è degno di nota in quanto il regime sudanese ha nei Fratelli musulmani il suo principale riferimento ideologico, con posizioni molto conservatrici sui diritti delle donne. Il Sudan è uno dei rari Paesi al mondo a non aver firmato la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, varata dall’Onu nel 1979.
Secondo il bilancio governativo, dall’inizio delle proteste lo scorso dicembre 38 persone sono morte, ma per Human Rights Watch e altre organizzazioni il numero delle vittime è più alto.
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