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L’avvertimento di Huawei e l’Europa nella trappola del 5G

L'avvertimento di Huawei e l'Europa nella trappola del 5G

Nelle ultime settimane, da est sono arrivati colombe e falchi. Il patron di Huawei ha detto che se il gruppo venisse bandito da alcuni Paesi potrebbe essere un problema. Ha anche definito fantasiose le ipotesi che vogliono il gruppo come orecchio di Pechino nelle reti globali, ma lo ha fatto con toni pacati, arrivando a definire Trump “un grande presidente”. Altri manager di Huawei hanno preferito modi più spicci: il presidente Eric Xu ha parlato di bando politico e avvertito: “Non sono sicuro che gli Stati Uniti raggiungeranno il loro obiettivo di diventare il numero uno al mondo nel 5G” senza Huawei.

Adesso è arrivato il turno di Zhang Ming, ambasciatore cinese all’Unione Europea. Visto il ruolo, non è a Trump ma ai Paesi Ue che si rivolge. In un’intervista al Financial Times ha parlato di “calunnie”. E sottolineato che rompere i rapporti con Shenzhen comporterebbe “gravi conseguenze” per la crescita economica e tecnologica. In Europa, infatti, Huawei è già più che presente: è incastonato. Le sue attività, ha affermato l’ambasciatore, sono “fortemente intrecciate” con il mercato del 5G. “Tagliarle arbitrariamente” sarebbe una scelta “irresponsabile”. Come a dire: attenzione, perché qui siamo quasi gemelli siamesi. Dividerci potrebbe essere complicato e costare caro a entrambi. Ma non è l’unico problema che l’Europa deve affrontare.

Tra Washington e Pechino

L’Europa si trova in una posizione scomoda, per diverse ragioni. Una è quella cui ha accennato Zhang Ming: Huawei è un pilastro del 5G europeo. Basti pensare all’Italia: il gruppo cinese è presente in due dei tre progetti scelti dal Mise nell’agosto 2017 per testare le nuove reti. Escluderlo è quindi più problematico rispetto agli Stati Uniti, perché rischia di frenare progetti già avviati. Al di là di questo punto (che comunque soccomberebbe davanti a esigenze di sicurezza nazionale), c’è altro.

Da qing / Imaginechina 

 5G

I dubbi e le valutazioni di alcuni Paesi (tra i quali Germania e Italia) sull’opportunità di continuare a collaborare con Huawei infiammano le tensioni con Pechino in un momento in cui lo scontro frontale tra la Cina e gli Stati Uniti apre nuove porte verso est. L’Europa, oltre a dover valutare questioni di sicurezza, si ritrova quindi compressa tra le pressioni di un alleato storico come Washington e quelle economiche cinesi. Con un ulteriore tema: la solidità dei propri operatori e il dubbio sollevato da alcuni manager. Quanto e come è sostenibile il 5G?

Quanto costa il 5G

La necessità di abbracciare il 5G non è in discussione. Lo scorso ottobre, nel corso di una conferenza organizzata dal Financial Times, il commissario europeo per l’economia digitale Mariya Gabriel era sta chiara: “La rivoluzione tecnologica non ci aspetta e la competizione per la leadership globale è feroce”. Feroce e costosa: nel 2016 la Commissione europea stimava in 500 miliardi gli investimenti che, tra il 2016 e il 2025, avrebbero spinto la cosiddetta “gigabyte society”.

Cioè una società coesa anche grazie a connessioni veloci. La somma, che non include solo il 5G, sarebbe comunque arrivata “in gran parte dal settore privato”. “Visto il trend degli investimenti”, l’ultima stima – fatta lo scorso giugno – ha già dovuto ridimensionare la precedente: i miliardi dovrebbero essere circa 345. Il punto è proprio questo: a fronte di tabelle, proclami e grandi prospettive, il 5G deve passare l’imbuto di investitori e bilanci.

L’imbuto dei bilanci

A oggi il 5G è una tecnologia che richiede enormi investimenti, a fronte i ritorni non certi, almeno nel breve periodo. Il Financial Times fa proprio l’esempio dell’Italia: l’asta per le frequenze 5G, chiusa a 6,5 miliardi di euro, è stato un toccasana per le casse dello Stato ma, afferma il ceo di Orange Stéphane Richard (gruppo francese che nel nostro Paese non opera), “una tragedia” per le Tlc italiane, gravate già da una concorrenza che ha premuto sui prezzi e assottigliato i fatturati.

Secondo dati di Deutsche Bank riportati dal Sole24Ore, dal 2010 al 2016 il ricavo medio per utente nel settore della telefonia mobile è sceso del 37% in Italia e del 29% in Francia. E un’analisi di Ovum citata da Financial Times afferma che tra il 2012 e il 2017 gli incassi delle Tlc europee sono calati da 444 a 369 miliardi di dollari. Tradotto: i soldi scarseggiano proprio adesso che ce ne sarebbe enorme bisogno. Come a dire che, presi dalla gara, gli operatori sono occupati a guardarsi negli specchietti e non possono badare troppo alla prossima curva. La concorrenza è anche figlia di una frammentazione che, al momento, non sembra invertirsi in una spiccata aggregazione.

Negli Stati Uniti e in Cina gli operatori di rete sono una manciata. In Europa un centinaio. C’è quindi il dubbio che gli investimenti possano essere meno prolifici rispetto a quelli di Usa e Pechino, più abbondanti ma anche più concentrati. Senza dimenticare un’altra zavorra: l’Europa non ha una direzione politica ed economica compatta. E anche sul caso Huawei i singoli Paesi procedono in ordine sparso.

Investimenti, avanti adagio

Altra incognita che potrebbe rallentare lo sviluppo delle nuove reti: il 5G aprirebbe probabilmente nuovi mercati e ridurrebbe i costi di trasmissione, ma potrebbe non essere (nell’immediato) una tecnologia dirompente sulle abitudini degli utenti. Il 2G è stato l’esordio, il 3G ha sostenuto l’economia delle app e dei primi smartphone, il 4G ha spinto streaming e messaggistica. Il 5G accelera (parecchio) la velocità con cui scaricare un film e migliora la qualità di visione.

Ma non è questa la rivoluzione di cui si parla, che invece riguarda oggetti connessi, intelligenza artificiale e Industria 4.0. La rapidità di adozione è tutta da capire. E quindi, come ha spiegato al Financial Times l’analista di Moody’s Laura Perez, “gli operatori europei saranno probabilmente cauti nell’investire ingenti capitali nello sviluppo dell’infrastruttura 5G fino a quando non saranno certi che porterà a maggiori entrate”.

Servirebbe una visione più ampia, che non sempre si concilia con l’impazienza degli azionisti e con le ristrettezze dei margini. Il rischio è di rimanere impelagati nel più classico circolo vizioso: il 5G potrebbe essere la tecnologia che, mutando lo scenario, permetterebbe all’Europa di competere con Usa e Cina. Ma incertezze, rallentamenti e sete di capitali rischiano di frenare la rincorsa. 

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