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Libia, osservatori Onu per monitorare la tregua

(di Luca Mirone)

NEW YORK – Passo avanti per il consolidamento del cessate il fuoco in Libia, a poco meno di un anno dalle elezioni: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha disposto l’invio di di osservatori per monitorare la tregua e verificare il ritiro dei militari stranieri. Il team dovrebbe fare base a Sirte, la linea del fronte dove le forze fedeli al governo di Tripoli e le milizie di Khalifa Haftar si sono arenate ed hanno accettato di sospendere le ostilità, lo scorso ottobre.

   La svolta dal Palazzo di Vetro è maturata attraverso una lettera inviata al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, in cui i 15 hanno chiesto di “costituire e dispiegare rapidamente un’avanguardia” di osservatori in Libia: un gruppo di una trentina di persone tra civili e militari in pensione, disarmati, che in futuro potrebbe diventare più numeroso ed estendere la propria presenza sul terreno. Il via libera del Consiglio di Sicurezza ha premiato l’iniziativa dello stesso Guterres, che il mese scorso aveva proposto la costituzione di un team internazionale con elementi di Unione Africana, Unione Europea e Lega Araba, da basare a Sirte. Nella città natale di Muammar Gheddafi il conflitto si è impantanato. Perché il maresciallo Haftar, nonostante la pressione dei governativi sostenuti dai turchi, è riuscito a interrompere la sua ritirata.

   Tuttavia la tregua siglata il 23 ottobre resta fragile, soprattutto perché sul terreno ci sono ancora circa ventimila militari e mercenari stranieri, tra cui ufficiali provenienti da Ankara al fianco di Tripoli e i russi del gruppo ‘Wagner’ che combattono con Haftar. La questione del ritiro degli stranieri ha richiesto un complicato confronto in Consiglio di Sicurezza. Mosca, prima di dare l’ok all’invio di osservatori, ha voluto accertarsi che il team avrebbe verificato la partenza simultanea dei militari dei due schieramenti. Il Cremlino, dopo aver assistito al fallimento della campagna di Haftar sulla capitale, non vuole perdere influenza nella nuova Libia a scapito della Turchia. Il difficile processo di pacificazione prosegue anche sul canale politico.

   Il forum di dialogo, che riunisce le principali anime della Libia, è riunito da alcuni giorni a Ginevra per istituire una nuova leadership che traghetti il Paese verso le elezioni del 24 dicembre. I candidati sono tanti: 24 per i 4 posti del nuovo consiglio presidenziale e 21 che ambiscono a fare il primo ministro, dopo le annunciate dimissioni di Fayez al Sarraj. I big ci sono tutti: dal presidente del parlamento di Tobruk Aqila Saleh al capo del suo contraltare tripolino (l’Alto Consiglio di Stato), Khaled Al-Mishri. Passando per il vicepremier Ahmed Maitig, espressione della potente Misurata, ed il ministro dell’Interno filoturco Fathi Bashagha. E non è detto che tra questi pesi massimi l’intesa sia a portata di mano.

   Di positivo c’è che le cose si muovono, mentre l’economia del Paese piano piano riprende fiato dopo la ripresa della produzione del petrolio. Altri attori decisivi, inoltre, possono scendere in campo. A partire dagli Stati Uniti di Joe Biden, che in una delle prime uscite da presidente ha chiesto a Russia e Turchia di fare un passo indietro in Libia. Un ritrovato protagonismo degli americani in quell’area, dopo il sostanziale disinteresse di Donald Trump, è auspicato con forza anche dall’Italia. Il dossier, nei giorni scorsi, è stato affrontato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio ed il neo segretario di Stato Antony Blinken, nel primo contatto tra i due governi.

Fonte Ansa.it

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