La Spagna ha (quasi) un governo: lo guiderà Pedro Sanchez e sarà formato dall’alleanza fra i suoi socialisti e la sinistra antisistema di Podemos di Pablo Iglesias, più i nazionalisti baschi del Pnv. La fumata bianca, attesa dopo mesi di impasse e quattro elezioni anticipate in quattro anni, è stata permessa dalla sinistra indipendentista catalana dell’Erc, il cui Consiglio nazionale in serata ha approvato a stragrande maggioranza il voto di astensione dei suoi 13 deputati.
E che consentirà a Sanchez di avere la maggioranza al voto di fiducia (che in Spagna si chiama “investitura”), calendarizzato il 7 gennaio. Ma avrà un prezzo politico: il riconoscimento del “conflitto catalano” come “politico”, e non più solo come crimine istituzionale. Conflitto che andrà quindi risolto con un “tavolo negoziale bilaterale”, che non preveda “veti” su alcuna proposta, come è scritto nero su bianco nell’accordo Erc-Psoe, di cui il quotidiano El Pais ha anticipato il testo. Quindi, si presume, neanche un’eventuale riproposta del “referendum sull’autodeterminazione” della Catalogna, dopo quello unilateralmente convocato dalla Generalitat di Barcellona e finito con una sequela di arresti e condanne, tra cui quella del leader dell’Erc, Oriol Junqueras. I repubblicani catalani hanno chiesto che il tavolo abbia come condizioni che il negoziato sia fra ‘governi’, non abbia preclusioni o argomenti tabù e abbia invece un calendario di lavori. Concessioni non da poco strappate ai socialisti di Sanchez, che nella campagna per le elezioni politiche di novembre avevano ostentato intransigenza nei confronti dell’indipendentismo catalano.