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Mark Zuckerberg
“Più della metà degli utenti di Facebook è falso”. Lo afferma un rapporto firmato da tale Aaron Greenspan. Ora, calma. Perché serve una premessa: l’autore non sembra immune da astio personale nei confronti di Mark Zuckerberg. Eppure solleva dubbi legittimi sull’efficacia di alcune metriche di Facebook. Ma andiamo con ordine.
Quanti fake ci sono su Facebook?
Il rapporto spulcia diversi documenti ufficiali di Facebook, a caccia di contraddizioni. Secondo Greenspan qualcosa non tornerebbe nel confronto tra i dati che il social network svela agli investitori ogni tre mesi e quelli del “Transparency Report”, il rapporto con cui Facebook diffonde informazioni sull’attività mirata a limitare account falsi e contenuti nocivi. Ci sono “account duplicati” (cioè gestiti da un utente che ha già un profilo personale) e quelli apertamente “falsi”.
I primi, secondo le stime di Facebook, nel quarto trimestre 2017 sarebbero circa il 10% degli utenti attivi, i secondi il 3-4%. La differenza, a volte, è sfumata. Si potrebbe comunque dire che il 13-14% degli utenti avrebbe un’identità quantomeno discutibile. Questi sono dati ufficiali. Greenspan passa poi al “Transparency Report”, secondo il quale (sempre nel quarto trimestre 2017) Facebook avrebbe agito contro 694 milioni di account falsi. Cioè, scrive Greenspan, sul 32,6% degli utenti mensili attivi.
In realtà non può esserci sovrapposizione tra le due metriche. Molti account vengono infatti bloccati prima di accedere o poco dopo l’iscrizione. E oltretutto i fake possono riprovarci, ingrossando il numero delle “azioni” per bloccarli ma non quello degli utenti attivi. L’autore del rapporto è convinto però che anche questa sua (discutibile) prospettiva sia frutto di una sottovalutazione del fenomeno. E ipotizza (a spanne) che gli utenti falsi costituiscano il 55% degli utenti mensili attivi.
Chi è Aaron Greenspan
Facebook ha già ribattuto, definendo il rapporto “totalmente sbagliato”. Per molti aspetti, effettivamente, lo è. E lo si nota anche da un vocabolario non certo scientifico: si legge, ad esempio, che “Zuckerberg non merita i suoi miliardi ma la galera”. Greenspan, infatti, non è nuovo ad accuse contro il fondatore di Facebook: è un suo ex compagno di studi ad Harvard. E sarebbe stato l’inventore del nome “Facebook”. Un anno prima che Zuckerberg lanciasse il social, Greenspan aveva creato un portale, con una sezione chiamata “Face Book”. Per evitare problemi, nel 2009 Zuckerberg avrebbe firmato un accordo e sganciato qualche milione all’ex compagno. Che però continua a bersagliarlo.
Profili falsi, misurazioni opache
Depurando il rapporto da ruggini personali e da una approccio ai dati piuttosto (diciamo) disinvolto, qualcosa resta. Facebook ammette che le sue metriche per quantificare il fenomeno dei fake è in aggiornamento. In una comunicazione alla Sec dello scorso trimestre, il gruppo sottolinea come “la stima di profili duplicati o falsi è basata su una revisione interna e su un campione limitato di account”, cui Menlo Park “applica una significativa discrezione”.
Le misurazioni si basano su sistemi non esatti e soprattutto (per ora) opachi: “Ciò che conta – accusa l’ex studente di Harvard – è che Facebook non ha e non avrà mai un modo accurato per misurare il problema degli account falsi”. Non è un dettaglio. Perché dal numero di utenti deriva quanto gli inserzionisti sono disposti a pagare. I profili falsi condizionano inoltre le interazioni, diffondendo bufale, cliccando sugli annunci pubblicitari, mettendo like a una pagina e partecipando al suo successo. Setacciamo il risentimento di Greenspan e vediamo cosa rimane: Facebook ci dice quanti sono gli utenti finti e quanti ne blocca. Ma si tratta di misurazioni tutt’altro che perfette, delle quali non conosciamo i criteri.
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