© J. Paul Getty Trust / Ph. Robert R. McElroy / Getty Research Institute, Los Angeles (2014.M.7) | Jim Dine in Car Crash, Reuben Gallery, New York, 1 – 6 novembre 1960
Orari: : domenica, martedì, mercoledì e giovedì: dalle 10.00 alle 20.00; venerdì e sabato: dalle 10.00 alle 22.30; lunedì chiuso
Una mostra dedicata a Jim Dine (Cincinnati, USA, 1935), promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale, ideata e organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo si terrà al Palazzo delle Esposizioni dall’11 febbraio al 2 giugno del 2020. Si tratta di un’ampia mostra antologica realizzata in stretta collaborazione con l’artista e curata da Daniela Lancioni, curatrice senior dell’Azienda Speciale Palaexpo.
Saranno esposte oltre 60 opere, datate dal 1959 al 2016, provenienti da collezioni pubbliche e private, europee e americane. Un esaustivo apparato iconografico restituirà la memoria visiva dei celebri happening raccontati in mostra dalla voce dello stesso Jim Dine. Una selezione di video interviste, infine, permetterà di familiarizzare con la figura dell’artista.
Il Palazzo delle Esposizioni presenta uno dei maggiori protagonisti dell’arte americana, il cui lavoro, radicale e innovativo, ha avuto un grande impatto sulla cultura visiva contemporanea, in particolare su quella italiana degli anni Sessanta. Nonostante la sua popolarità, Jim Dine rimane un artista difficilmente catalogabile in virtù soprattutto della sua volontà d’indipendenza e del suo rifiuto a identificarsi nelle categorie della critica, della storia dell’arte e del mercato. Sono esemplari l’autonomia e la libertà con le quali da sempre si rapporta al panorama dei valori accertati. Lo dimostrano le sue vicende biografiche e i suoi lavori tenacemente aderenti alle esperienze vissute, “ineducati” e “inquietanti”, come talvolta sono stati definiti.
Il percorso della mostra
L’esposizione dei lavori, come consuetudine del Palazzo delle Esposizioni, sarà preceduta da una biografia dell’artista stampata sul muro e corredata da una selezione di documenti. I suoi contenuti potranno essere acquisiti grazie a un QR code e potranno accompagnare i visitatori e le visitatrici durante l’intero percorso della mostra che sarà ordinato secondo un criterio prevalentemente cronologico.
I primi lavori esposti saranno piccoli dipinti su tela e acquarelli datati 1959 in ciascuno dei quali campeggia una testa isolata dal corpo (Head). Lo stesso soggetto riapparirà a conclusione del percorso espositivo ingigantito in un dittico del 2016 (Two Large Voices Against Everything).
Seguirà un focus dedicato agli happening. Per la realizzazione di questa sezione della mostra è stata condotta un’approfondita ricerca delle fonti iconografiche negli archivi che detengono le immagini dei maggiori fotografi attivi negli anni Cinquanta e Sessanta sulla scena artistica downtown di New York: Robert R. McElroy, Fred E. McDarrah e Peter Moore. Le immagini fotografiche reperite verranno esposte insieme a un commento audio appositamente registrato dall’artista per la mostra romana.
Un ampio spazio sarà dedicato ai dipinti datati tra il 1960 e il 1963, attraverso i quali i visitatori potranno familiarizzare con i temi noti dell’arte di Dine: gli strumenti di lavoro, la tavolozza del pittore, gli indumenti. Opere differentemente basate sulla presenza degli oggetti, sulla sensualità della pittura, sul dato analitico rilevato dal disegno o sulla dimensione ambientale. Saranno in mostra alcune delle opere considerate i suoi “capolavori”, come Window with an Axe del 1961, Black Shovel del 1962, Four Rooms del 1962 costituito da quattro grandi tele e da elementi dislocati nello spazio, e Two Palettes in Black with Stovepipe (Dream) del 1963. Saranno esposti inoltre molti dei lavori presentati alla Biennale di Venezia del 1964, tra le icone più note dell’artista: Shoe del 1961, White Bathroom del 1962 e The Studio (Landscape Painting) del 1963.
Una tappa della mostra sarà dedicata ai lavori degli anni 1964 e 1965, in particolare alle sculture di alluminio (Red Axe, Large Boot Lying Down entrambi del 1965) e a quelle opere dove l’artista affida il suo autoritratto agli indumenti svuotati dalla figura, tra le altre My Tuxedo Makes an Impressive Blunt Edge to the Light del 1965 e Stephen Hands Path del 1964.
Ai noti Cuori di Jim Dine sarà dedicata una sala, con alcune delle opere realizzate a Putney nel Vermont nell’inverno del 1970-1971. Sarà, inoltre, esposto il grande cuore di paglia (Straw Heart) insieme alla mano verde (Green Hand), opere apparse nella mostra “Nancy and I at Ithaca” all’Andrew Dikson White Museum of Art di Ithaca (New York) del 1967.
Nell’ultima delle sei sale intorno alla rotonda del Palazzo delle Esposizioni saranno esposte le Veneri (le sculture derivate dal modello della Venere di Milo, cui Jim Dine lavora a partire dalla fine degli anni Settanta) e altre opere diversamente riconducibili a modelli dell’arte del passato.
La mostra proseguirà con una selezione di opere degli anni più recenti e terminerà con una folla di Pinocchi, sculture in legno realizzate a partire dai primi anni Duemila. Questa reiterata presenza svelerà la predilezione di Jim Dine per il personaggio di Carlo Collodi, creatura meravigliosa portatrice dell’antica metamorfosi dell’inanimato che prende vita.
Le collaborazioni e i prestiti
Un nucleo importante della mostra sarà costituito dalle opere che Jim Dine ha donato nel 2017 al Musée national d’art moderne – Centre George Pompidou di Parigi e che l’istituzione francese ha reso generosamente disponibili per quest’occasione. Cospicui saranno i prestiti delle opere storiche provenienti da collezioni europee, private e pubbliche, tra queste ultime il Museo di Ca’ Pesaro Venezia e il MART, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (entrambi questi musei prestano opere della collezione Sonnabend), il Louisiana Museum of Modern Art a Humlebaek in Danimarca, il Kunstmuseum Liechtenstein a Vaduz. Una selezione di opere verrà dagli Stati Uniti, tra cui i due celebri dipinti degli anni Sessanta A Black Shovel. Number 2 (1962) e Long Island Landscape (1963), appartenenti alle collezioni del Whitney Museum di New York. Dalle collezioni americane arriveranno anche Shoe del 1961 e The Studio (Landscape Painting) del 1963, presentati entrambi dall’artista alla Biennale di Venezia del 1964.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo bilingue (italiano e inglese) corredato da saggi e dalle tavole delle opere esposte pubblicato da Quodlibet, Macerata. Oltre al testo della curatrice, saranno pubblicati i testi di Francesco Guzzetti (postdoctoral research fellow The Morgan Library and Museum, New York) sugli happening; di Claudio Zambianchi (professore ordinario Università Sapienza Roma) sulla presenza degli oggetti nell’opera di Jim Dine; di Annalisa Rimmaudo (curatrice Centre Georges Pompidou) sulla presenza della scrittura nell’opera di Jim Dine; Paola Bonani (curatrice junior Azienda Speciale Palaexpo) curerà la cronologia e gli apparati.
Eventi collaterali
La mostra sarà accompagnata da una serie di eventi collaterali che coinvolgeranno lo stesso artista e altre figure della cultura internazionale. In occasione della mostra, inoltre, il Palazzo delle Esposizioni dedicherà una rassegna cinematografica (ingresso gratuito) al regista statunitense indipendente John Cassavetes (1929-1989).
Nato nel 1935 a Cincinnati, nello stato dell’Ohio, Jim Dine si trasferisce a New York alla fine degli anni Cinquanta. Nell’arco del 1960, nei luoghi ormai mitici della Judson Church e della Rueben Gallery, realizza i suoi memorabili happening che lo rivelano, insieme ad altri pochi artisti sodali, una delle presenze più incisive e radicali della giovane arte americana. Subito dopo, come dichiara lo stesso artista in un ricordo inedito raccolto per la mostra romana, “ho voltato le spalle a quel mondo delle performance, volevo impegnarmi nel mio lavoro di pittore e di scultore”. Ai primi anni Sessanta risalgono le opere con gli indumenti e con gli utensili da lavoro, vere e proprie icone della cultura visiva contemporanea: martelli, seghe, vanghe, asce, ma anche tavolozze, pennelli, spatole da pittore e scalpelli da scultore, così come accappatoi, cravatte, scarpe, bretelle. Un inventario circoscritto di cose che costituiscono il suo personale lessico ricco di valenze autobiografiche. Molti importanti critici – da Lawrence Alloway ad Alan R. Solomon, da David Shapiro a Marco Livingstone, a Germano Celant – si sono cimentati nell’interpretare queste presenze assegnando loro, come lo stesso artista suggerisce, la funzione di “autoritratti”. La sua è una biografia artistica costellata da importati riconoscimenti e da forti legami con l’Europa. Nel 1964 è stato tra gli artisti invitati nella celeberrima mostra del Padiglione americano alla Biennale di Venezia, che sancì nel mondo l’affermazione della Pop Art. Nel 1970 il Whitney Museum di New York ha ordinato la sua prima mostra retrospettiva. A questa sono seguite numerose altre mostre monografiche nei musei di tutto il mondo, come quella ospitata nel 1999 al Solomon R. Guggenheim Museum di New York e, in anni più recenti, quelle organizzate alla National Gallery of Art di Washington (2004), all’Albertina di Vienna (2016) e al Centre Georges Pompidou di Parigi (2018). Dine vive attualmente tra Parigi e lo stato di Washington.