Alla fine anche la UEFA ha ceduto. Rimandati al 2021 gli Europei di calcio, inizialmente in programma dal 12 giugno al 12 luglio 2020 e rinviati (non senza polemiche) in seguito all’emergenza coronavirus.
L’unica manifestazione che ancora si attacca pervicacemente a questo annus horribilis è il Vinitaly – e il London Wine Fair prevista per maggio, ma vista la confusione della politica inglese sull’argomento direi che non è un esempio da seguire.
Così, mentre il Veneto si appresta ai test a tappeto, rimane in piedi l’ipotesi che la più grande fiera del vino italiano si svolga a giugno 2020.
Molti tra produttori e consorzi si sono espressi negli ultimi giorni a rafforzare il fronte del no e a chiedere insistentemente il rinvio al 2021 così come è stato fatto ad esempio per il ProWein. Ma per qualcuno è proprio questo il punto: surclassare il competitor teutonico e mantenere l’appuntamento. In barba al buon senso. Al principio di responsabilità etica. All’evidenza di una pandemia dichiarata.
Il Direttore Generale di Veronafiere Mantovani ricorre alla fatidica data del 3 aprile per riaprire la discussione appellandosi alla continuità e alla volontà di “garantire un Vinitaly straordinario, in un tempo straordinario”.
Tra i primi a sollevare la questione rinvio Luca Ferraris, presidente dell’Associazione produttori Ruchè di Castagnole Monferrato e Francesco Monchiero, Presidente del Consorzio per la Tutela del Roero, che hanno sottolineato l’importanza, soprattutto per i piccoli produttori, di mantenere un equilibrio delle spese reso sempre più precario dall’avanzare dell’emergenza sanitaria e dalla conseguente chiusura dei mercati nazionali e internazionali. E hanno portato l’attenzione sulle reazioni dei buyer internazionali.
Ricordiamo ancora tra i tanti favorevoli allo slittamento di Vinitaly nel 2021, la FIVI che ha posto la questione tramite la presidentessa Matilde Poggi e ha presentato la richiesta di rinvio lo scorso 10 marzo durante il confronto tra Veronafiere e i Presidenti di filiera. “Ci siamo confrontati internamente sulla questione di un Vinitaly a giugno – ha dichiarato Matilde Poggi – e la maggioranza dei 220 vignaioli che avevano già dato adesione alla fiera si è detta favorevole ad uno slittamento al 2021” sottolineando l’effettiva difficoltà delle cantine a conduzione familiare di essere fisicamente presenti nelle date di giugno, per il lavoro in vigna e per la situazione di emergenza che coinvolge il nostro Paese e il resto del mondo.
Sono seguite poi le perplessità di Federvini il cui presidente Piero Mastroberardino ha affermato “non ci sono le condizioni per assicurare agli espositori e ai partecipanti un evento di livello internazionale nel solco della storia di Vinitaly. La professionalità e l’autorevolezza di Veronafiere vanno convogliate verso iniziative di rilancio del settore”.
Dubbi sono stati evidenziati anche da cinque consorzi della Puglia (Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria Doc e Docg, il Consorzio di Tutela Vini Dop Salice Salentino, il Consorzio dei Vini Doc Gioia del Colle, il Consorzio per la Tutela dei vini Doc Brindisi e Squinzano, insieme al Consorzio di Tutela Vini Castel del Monte Doc e Docg) da Valentino Di Campli Presidente Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo e Marco Ferretti, del Consorzio Chianti Colli Fiorentini. A questi si aggiunge un nutrito coro di singoli produttori preoccupati per la situazione nazionale e internazionale che impedirebbe alla maggior parte dei buyer di essere presenti.
C’è in sostanza un richiamo alle motivazioni di base che hanno portato alla nascita del Vinitaly nel settembre del 1967 facendone dal 1978 l’evento di riferimento del vino italiano nel mondo che ha contribuito, come si legge sul sito, “a fare del vino una delle più coinvolgenti e dinamiche realtà del settore primario”.
I vignaioli, allora, rivendicano il ruolo di protagonisti di una pièce in cui la regia non sta tenendo conto delle difficoltà di andare in scena e soprattutto non sta incentivando in alcun modo il coraggio di affrontare una sala semivuota.
Al di là di considerazioni che andranno fatte tendo conto dell’evoluzione dell’emergenza covid-19 – che in questi ultimi giorni ci sta raggelando con numeri agghiaccianti – è giunto il momento per un ripensamento generale degli eventi legati al vino primo fra tutti Vinitaly.
Abbiamo sempre richiesto al mondo del vino la lentezza e sottolineato la necessità di tempo e vediamo proporre vini sempre meno pronti, sottratti a un necessario affinamento per essere presenti a una manifestazione o per inseguire un mercato ottuso. Seguiamo e inseguiamo tutti il fiorire di anteprime e manifestazioni che definiscono il calendario senza troppo rispetto per l’effettivo stato del vino con una proliferazione di campioni da botte o imbottigliamenti dell’ultim’ora.
E anche il Vinitaly, così come è pensato, ripropone problematiche simili.
Non sarebbe allora meglio spostare tutti gli appuntamenti per dare ai vignaioli la possibilità di mostrare un prodotto pronto?
Sul Vinitaly in particolare, riteniamo si possa fare un ulteriore passo avanti strizzando l’occhio a Expo Bordeaux. Pensare quindi di sdoppiare l’appuntamento dedicando una data esclusivamente ai buyer nazionali e internazionali – su cui la Fiera da anni lavora con ottimi risultati – e per la stampa specializzata e una, magari di fine maggio (biennale?), che accolga operatori e pubblico.