© y Laura Bulian Gallery, Milano | Alimjan Jorobaev, Mirages of the communism# 2, 1995
Per questa occasione il curatore Marco Scotini, coadiuvato dal conservatore del Centro Stefano Pezzato, ha composto una ‘galassia’ di ricerche artistiche sviluppate intorno ai ‘tempi sovietici’, dagli anni Settanta ad oggi. Il progetto prende spunto dal vasto nucleo di opere acquisite nella collezione del Centro Pecci e si propone quale attuale e ultimo capitolo di un’ideale trilogia post-sovietica al Centro Pecci, nel trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino e della successiva dissoluzione dell’URSS, e a trent’anni dalle prime mostre (Roma, 1989 e Prato, 1990) dedicate tempestivamente alla scena artistica non ufficiale sovietica sull’onda della Perestrojka e oltre un decennio dopo l’ultima ricognizione (Prato, 2007) che affermava la disillusione dello ‘spazio post-sovietico’ di fronte ai processi di transizione e integrazione in Occidente.
The Missing Planet si confronta ora con un duplice passato: quello delle premesse dell’utopia socialista da un lato e quello della sua memoria storica dall’altro, a partire dalle opere rimaste dalle esposizioni precedenti, sia nelle collezioni del Centro Pecci sia in altre raccolte. Se la mostra del 1989-90 sanciva la scommessa della svolta, con l’apertura dell’Est all’Ovest, e la successiva del 2007 evocava una storia mancata, mettendo in scena una sorta di lutto o commiato, la nuova mostra di Prato propone un approccio archeologico dove la resurrezione dei fantasmi del passato e una mutata prospettiva storica cercano di fare i conti con le “rovine del futuro”. Il fondamentale film Solaris (1971) di Andrei Tarkovsky diventa una sorta di cornice narrativa di riferimento, che apre e chiude l’intera esposizione. Come indica il sottotitolo della mostra, il percorso espositivo raccoglie al suo interno Visioni e revisioni dei ‘tempi sovietici’, individuate nell’attualità e in passate esperienze artistiche.
L’allestimento di oltre 80 opere e numerosi materiali d’archivio selezionati per l’occasione, suddiviso dai curatori in tre sezioni specifiche, è stato ideato appositamente dall’artista Can Altay (Ankara, 1975) seguendo modalità di appropriazione e riconfigurazione di lavori altrui (quelli in mostra, appunto) attraverso l’uso di dispositivi architettonici che ne indirizzino la visione, tipico della sua originale pratica artistica. L’intervento di Altay costruisce congegni e strumenti spaziali che mettono insieme le opere e orientano i visitatori all’incontro con l’arte non ufficiale sovietica e post-sovietica, definendosi come un lavoro d’arte in sé. In sostanza, The Missing Planet è concepita come “una mostra nella mostra”, che fa coesistere una molteplicità di livelli di lettura, secondo un percorso capovolto che si apre con la scena artistica attuale e termina con quella degli anni ’80.
Sezioni della mostra in allegato.
Artisti Vahram Aghasyan; Vyacheslav Akhunov; Said Atabekov; Babi Badalov; Ilya Budraitskis – Alexandra Galkina – David Ter-Oganjan; Erik Bulatov; Alexey Buldakov; Vajiko Cachkhiani; Olga Chernysheva; Chto Delat (What is to be done?); Ulan Djaparov; Factory of Found Clothes; Andrei Filippov; Alexandra Galkina – David Ter-Oganjan; Balbar Gombosuren; Andris Grinbergs; Dmitry Gutov; Alimjan Jorobaev; Ilya Kabakov; Flo Kasearu; Gulnara Kasmalieva & Muratbek Djumaliev; Yakov Kazhdan; Anastasia Khoroshilova; Olga Kisseleva; Nikolaj Kozlov; Vladimir Kupryanov; Medical Hermeneutics; Jonas Mekas; Boris Mikhailov; Deimantas Narkevičius; Boris Orlov; Anatoly Osmolovsky; Perzi; Dmitry Prigov; Radek Community; Koka Ramishvili; R.E.P. Group; Andrei Roiter; Vladislav Shapovalov; Leonid Sokov; Andrei Tarkovsky; Leonid Tishkov; Jaan Toomik; Andrei Ujică; Nomeda & Gediminas Urbonas; Anton Vidokle; Sergei Volkov; Yelena & Viktor Vorobyev; Arseny Zhilyaev; Konstantin Zvezdochotov