Da cittadino, ho l’impressione che la scienza sia allarmata, più che preoccupata, per la seconda ondata che ha innescato un incremento sensibile dei contagi da Covid-19 in Italia. E stavolta inquieta di nuovo la Lombardia, e soprattutto Milano.
Ma focalizzare la preoccupazione su Milano o la Lombardia è riduttivo, perché anche Napoli e la Campania non se la passano affatto bene, dato che le autorità hanno avviato misure di contenimento importanti. Così pure il Piemonte, ma si parla ancora una volta con toni allarmanti di Milano.
Indicare questa o quella città o regione, e lo abbiamo imparato in primavera, determina danni d’immagine, ed in Italia di Covid si parla con toni eccessivamente allarmistici, più che indirizzati a suggerire comportamenti che ci proteggano dai contagi.
La preoccupazione generale deriva dal fatto che ogni giorno si accumulano nei reparti ospedalieri nuovi ammalati, i cui tempi di guarigione non sono affatto prevedibili. Chi presenta i sintomi da Covid viene identificato come ammalato, mentre chi non li presenta ed è asintomatico, non lo è. Ma anche in questa circostanza non è tutto liscio, in quanto deve seguire delle prassi non senza enormi difficoltà, dato che le strutture che gestiscono l’emergenza sanitaria da più parti vengono definite al collasso.
La scienza ha rilasciato varie autorevoli interviste ai giornali ed in TV, che anche se non lo dichiarano con chiarezza, suggeriscono immediati lockdown mirati o totali, finalizzati a ridurre la velocità dell’inevitabile: l’esplosione di una seconda gravissima ondata di contagi.
La scienza medica, ma anche la storia, ci insegnano che le seconde ondate delle pandemie del passato, hanno avuto peggiori effetti rispetto alla prima raffica di contagi. La spagnola si presentò negli Stati Uniti addirittura con una terza ondata di contagi.
Ma la cosa che ancor più inizia ad angosciarmi, e che non viene dichiarata se non velatamente da alcuni scienziati, è che avremo a che fare con il virus pandemico forse per anni. Ovviamente, questa resta un’ipotesi.
La nostra civiltà, il nostro modello di vita potrebbero vivere alcuni anni con questa pandemia, e con l’adattamento e la convivenza, modificheremo sensibilmente le nostre abitudini, le quali potrebbero balzare verso quel progresso tecnologico che sino a qualche tempo fa appariva impossibile, o fantascienza.
La scuola che si fa a distanza, il lavoro d’ufficio che si fa da casa, le video consulenze mediche, ne sono un esempio, e le conseguenze stanno portando i centri città del business e degli affari al collasso economico. A Milano, il sindaco Sala si è fatto portavoce della criticità, e dopo aver chiesto il ritorno ad una vita normale, si è dovuto ricredere, ora prospetta un doveroso più smart working.
Come spesso succede c’è chi ne fa ragione politica, ma togliamoci il paraocchi perché anche all’estero la situazione è simile a quella di Milano e tutte le metropoli o città d’affari. In Germania, Francia, a Parigi, Londra, New York si vive la stessa aria, c’è la medesima situazione: i centri del business vivono un lockdown da molti mesi, che non si è risolto la scorsa estate, e che quest’inverno, e forse anche la prossima primavera, proseguirà.
E le nuove abitudini fanno dei modus operandi che diventano stile di vita e di lavoro che sarà difficile cambiare. C’è il rischio che il lavoro e la vita del futuro saranno molto differente da quelli precedenti.
Se ciò è un disastro per le attività economiche sorte nei centri città, diventa un’occasione di business distribuito nelle periferie urbane, nei piccoli centri che invece si sono rianimati.