Nel 2018 un gruppo di ricercatori italiani scoprì sotto il ghiaccio del polo sud di Marte la presenza di un grande lago, del diametro di circa 20 km. Ora, due anni dopo, lo stesso team, coordinato da Elena Pettinelli e Sebastian Emanuel Lauro, dell’Università di Roma Tre, ha scoperto che quel lago non è solo e che sotto la superficie ghiacciata di Marte esiste un sistema idrico più ampio.
La scoperta è stata effettuata con l’ausilio del radar MARSIS, fornito dall’Agenzia Spaziale Italiana e che si trova a bordo del veicolo spaziale Mars Express dell’Agenzia spaziale europea. Gli scienziati hanno analizzato questi dati radar con tecniche precedentemente utilizzate per rilevare i laghi sotto i ghiacciai in Antartide.
Ampliando l’osservazione a un territorio più vasto rispetto allo studio condotto due anni fa, sono stati trovati altri tre laghi salati, del diametro di circa 10 km. Questi laghi, grazie all’elevatissima salinità, riescono a mantenere l’acqua allo stato liquido nonostante le condizioni estremamente fredde.
Sebbene il ghiaccio polare marziano possa sciogliersi un po’ a causa delle calde temperature del giorno, gli scienziati non ritengono probabile che siano processi in corso attualmente a formare questi laghi. Invece, pensano che questa acqua salata possa essere il resto di una massa d’acqua più grande un tempo presente sulla superficie del pianeta e che potrebbe avere milioni o addirittura miliardi di anni.
Questi laghi potrebbero essersi formati a causa del clima più caldo presente nel passato marziano, quando il pianeta aveva un’atmosfera più densa e simile a quella terrestre. Questo suggerisce che le condizioni che hanno creato questi laghi potrebbero essere state più diffuse e che potrebbero esserci altri sistemi idrici simili.
Ma non è tutto, perché se queste ipotesi sono vere, c’è la possibilità che questi laghi conservino ancora le tracce di forme di vita che potrebbero aver abitato il Pianeta Rosso nel lontano passato.
Per scoprirlo bisognerebbe perforare il chilometro e mezzo di ghiaccio che separa la superficie da quei laghi, ma con la tecnologia attuale non è possibile farlo.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Astronomy.