L’eccessivo caldo degli ultimi mesi in Siberia sta avendo delle ripercussioni sempre più gravi sull’ecosistema. A quanto sembra, le temperature troppo alte stanno rendendo sempre più instabile lo stato di permafrost, accelerandone la fusione.
Sono sempre più frequenti le deflagrazioni nel sottosuolo, che portano alla liberazione di vere e proprie bolle di gas metano rimaste intrappolate nel ghiaccio artico. Si tratta di pessime notizie sul fronte del riscaldamento globale e dei gas serra.
Si tratta di un corto circuito che non fa altro che favorire l’accentuazione del trend del riscaldamento globale. Basti pensare che il metano è un gas serra ancora più dannoso dell’anidride carbonica, con un effetto riscaldante maggiore.
Tutto ciò è emerso durante i rilevamenti compiuti nelle scorse settimane dalla nave di ricerca Akademik Keldysh, partita dalla città russa di Arkhangelsk per studiare come i cambiamenti climatici possano innescare il rilascio dei gas serra, come effetto dello scioglimento del permafrost artico.
Sono state così scovate enormi quantità di metano artico che si stanno liberando su una vasta area del versante continentale, al largo della costa della Siberia orientale, proprio laddove il caldo negli ultimi mesi è stato assoluto protagonista della scena con temperature costantemente di 5 gradi oltre la media.
C’è forte apprensione tra i ricercatori che temono si possa essere attivato un nuovo ciclo di feedback climatico e che si sarebbe ormai giunti al punto di non ritorno. L’attuale feedback potrebbe ulteriormente accelerare il ritmo del riscaldamento globale.
Più riscaldamento uguale più rilascio di metano, uguale ancora più riscaldamento globale. Tutto ciò rappresenta una pericolosa spirale perversa, su cui anche noi non potremmo fare molto, nemmeno attraverso la riduzione tardiva delle emissioni dei gas serra.
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