LL YOU CAN FUCK è la mostra di Adriana Luperto che inaugura lunedì 8 marzo 2021 alla Crumb Gallery Firenze. ALL YOU CAN FUCK è il nome dei bordelli a tariffa forfettaria, a disposizione di uomini in cerca di sesso a pagamento, che troviamo a Berlino e un po’ ovunque in Germania, dove la prostituzione è legale fin dagli inizi del Duemila. Sono luoghi in cui, oltre al cibo, per 90-130 euro, puoi “consumare” le sex workers, ragazze costrette anche a decine di rapporti al giorno, dalle 16 alle 3 di notte.
Adriana Luperto – una delle anime fondatrici della Crumb Gallery e del suo progetto dedicato esclusivamente al promuovere l’arte al femminile – racconta attraverso 15 acquerelli su carta di riso, una tecnica dal tocco delicato, le molte storie che tutti i giorni si consumano con orrore sulla pelle di tante donne di etnie diverse, italiane, nigeriane, rumene, bulgare, ungheresi …
“Ho letto libri, parlato con donne che si sono prostituite, ascoltato racconti quasi dell’orrore sulla vita che sono state costrette a fare: quello che sappiamo sulla mercificazione del corpo di una donna è nulla di fronte all’enormità della realtà.” Ci racconta l’artista. “Non ho voluto riportare tutto questo: ho voluto far vedere la loro bellezza, la loro sensualità, che c’è, sempre, a prescindere da tutto”.
In Italia le case chiuse non esistono più dal 1958 e in Europa troviamo vari modelli di regolamentazione e legalizzazione della prostituzione. Molte grandi città hanno quartieri a luci rosse e case d’appuntamento ma tutto ciò non ha aiutato a fermare il traffico sessuale.
Un tema, quello della prostituzione, assai dibattuto. Un tema al quale Luperto lavora da più di un anno come fosse una cronista. Nei suoi dipinti “non c’è denuncia, non c’è giudizio.” Scrive Rory Cappelli nel testo nel catalogo (collana NoLines), pubblicato da Crumb Gallery in occasione dalla mostra. “Eppure per Luperto il sesso a pagamento è sempre qualcosa di scippato, qualcosa che una donna non darebbe mai se non vi fosse costretta: dalla miseria, dalla propria storia personale, dal convincimento che sia libertà il disporre del proprio corpo come meglio si crede, dalla violenza del trafficking, la tratta delle donne, un fenomeno multiforme ed estremamente duttile nel cambiare tattica e metodo per non farsi individuare che sta dilagando come un cancro senza cura.”
Le sue opere sono come dei fermoimmagine che ci invitano a riflettere. C’è la storia de La bambina, appoggiata a una porta socchiusa, dove aleggia quell’innocenza dell’infanzia non ancora intaccata dalla crudeltà della vita. Ci sono le donne sedute al margine della strada in attesa, in Pausa oppure la sola sedia vuota a dominare in modo emblematico la scena. Ci sono le Nigeriane che camminano di spalle sullo sfondo di un cielo livido. C’è uno sguardo sugli Anni Trenta con tre donne in guepierre e seno nudo che nella posa ricordano l’intrecciarsi di molte raffigurazioni delle Tre Grazie, dei dipinti antichi. E ancora ALL YOU CAN FUCK, di grandi dimensioni, in cui in un’aula dai toni sul rosso si raccolgono mezze nude una serie di ragazze, quasi sui banchi di una chiesa, pronte a iniziare la nottata.
In questi dipinti, la figura dell’uomo è una presenza/assenza, manca quasi sempre o meglio, la troviamo di spalle, defilata, spettatore muto anche se di fatto ne è il vero protagonista che, all’interno dell’esposizione, la sound editor Francesca Sandroni è riuscita ad evocare in maniera convincente con un’installazione sonora.
In catalogo, oltre al testo sulla mostra, troviamo due interviste realizzate da Rory Cappelli e Anna Maria Liguori, due testimonianze, storie vere, di una ragazza nigeriana e una ragazza rumena costrette a prostuirsi.