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Nuova mostra fotografica organizzata da Fondazione MAST “Un alfabeto visivo dell’industria, del lavoro e della tecnologia”

10 febbraio - 22 maggio 2022

È la prima grande esposizione di opere della Collezione della Fondazione: oltre 500 immagini tra
fotografie, album, video di 200 grandi fotografi italiani e internazionali e artisti anonimi.
La Collezione della Fondazione MAST, unico centro di riferimento al mondo di fotografia dell’industria
e del lavoro, conta più di 6000 immagini e video di celebri artisti e maestri dell’obiettivo, oltre ad una
vasta selezione di album fotografici di autori sconosciuti.
Nei primi anni 2000 la Fondazione MAST ha creato questo spazio appositamente dedicato alla
fotografia dell’industria e del lavoro con l’acquisizione di immagini da case d’asta, collezioni private,
gallerie d’arte, fotografi ed artisti. Il patrimonio della Fondazione, che già conteneva un fondo che
raccoglieva filmati, negativi su vetro e su pellicola, fotografie, album, cataloghi che negli stabilimenti di
Coesia venivano prodotti fin dai primi del ‘900, si è così arricchito ed andato al di là dei parametri di
materiale promozionale e documentaristico delle imprese del Gruppo industriale. La raccolta abbraccia
opere del XIX secolo e dell'inizio del XX secolo con un processo di selezione valoriale e un accurato
approccio metodologico a cura di Urs Stahel.
“The MAST Collection – A Visual Alphabet of lndustry, Work and Technology”, curata da Urs
Stahel, è la prima esposizione di opere selezionate dalla collezione della Fondazione: oltre 500
immagini tra fotografie, album, video di 200 grandi fotografi italiani e internazionali e artisti
anonimi, che occupano tutte le aree espositive del MAST. Immagini iconiche di autori famosi da tutto il
mondo, fotografi meno noti o sconosciuti, artisti finalisti del MAST Photography Grant on lndustry and
Work, che testimoniano visivamente la storia del mondo industriale e del lavoro.
Tra gli artisti in mostra: Paola Agosti, Richard Avedon, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin,
Margaret Bourke-White, Henri Cartier-Bresson, Thomas Demand, Robert Doisneau, Walker Evans,
Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Mimmo Jodice, André Kertesz, Josef Koudelka, Dorotohea Lange, Erich
Lessing, Herbert List, David Lynch, Don McCullin, Nino Migliori, Tina Modotti, Ugo Mulas, Vik Muniz,
Walter Niedermayr, Helga Paris, Thomas Ruff, Sebastiao Salgado, August Sanders, W. Eugene Smith,
Edward Steichen, Thomas Struth, Carlo Valsecchi, Edward Weston.
La mostra, proprio per la sua complessità, è strutturata in 53 capitoli dedicata ad altrettanti concetti
illustrati nelle opere rappresentate. La forma espositiva è quella di un alfabeto che si snoda sulle pareti
dei tre spazi espositivi (PhotoGallery, Foyer e Livello O) e che permette di mettere in rilievo un sistema
concettuale che dalla A di Abandoned e Architecture arriva fino alla W di Waste, Water, Wealth.
"L’alfabeto nasce per mettere insieme incroci tra lo sguardo lontano e quello vicino, testi e momenti
dello scatto, portando I’attenzione all’interno delle opere – spiega il curatore, Urs Stahel -. Lo stesso
accade con le immagini e i fotografi coinvolti.

Questi 53 capitoli rappresentano altrettante isole tematiche nelle quali convivono vecchi e giovani, ricchi e
poveri, sani e malati, aree industriali o villaggi operai. Costituiscono il punto di incontro delle percezioni,
degli atteggiamenti e dei progetti più disparati. La fotografia documentaria incontra l’arte concettuale, gli
antichi processi di sviluppo e di stampa su diverse tipologie di carta fotografica, come le stampe
all’albumina, si confrontano con le ultime novità in fatto di stampe digitali e inkjet; le immagini dominate
dal bianco e nero più profondo si affiancano a rappresentazioni visive dai colori vivaci. I paesaggi cupi
caratteristici dell’industria pesante contrastano con gli scintillanti impianti high-tech, il duro lavoro manuale
e la maestria artigianale trovano il loro contrappunto negli universi digitali, nell’elaborazione automatizzata
dei dati. Alle manifestazioni di protesta contro il mercato e il crac finanziario si affiancano le testimonianze
visive del fenomeno migratorio e del lavoro d’ufficio”.
Sul piano della scansione cronologica solo il XIX secolo è stato affrontato separatamente in una sezione
dedicata alle fasi iniziali dell’industrializzazione e della storia della fotografia. Il filo conduttore è spesso
costellato dai numerosi ritratti di lavoratori, dirigenti, disoccupati, persone in cerca di lavoro e migranti. "Il
parallelismo tra industria, mezzo fotografico e modernità – prosegue Urs Stahel – produce a tratti un
effetto che può disorientare. La fotografia è figlia dell’industrializzazione e al tempo stesso ne rappresenta
il documento visivo più incisivo, fondendo in sé memoria e commento”.
La mostra documenta inoltre il progresso tecnologico e lo sforzo analogico sia del settore industriale sia
della fotografia, rappresentato oggi dai dispositivi digitali ultra leggeri, in perenne connessione, capaci di
documentare, stampare e condividere il mondo in immagini digitali e stampe 3D. Dall'industria, dalla
fotografia e dalla modernità si passa all'alta tecnologia, alle reti generative delle immagini e alla post-post­
modernità, ovvero a una sorta di contemporaneità 4.0. Dalla semplice copia della realtà alle immagini
generate dall’intelligenza artificiale.
La mostra “The MAST Collection – A Visual Alphabet of lndustry, Work and Technology” condensa gli
ultimi 200 anni di storia ricchi, folli, intensi, esplosivi in più di 500 opere che raccontano della nostra
quotidianità.

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