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TERRACQUEO, NON È SOLO UNA MOSTRA

DAL 16 SETTEMBRE A PALAZZO REALE IL RACCONTO DEL MEDITERRANEO

Dai saggi dei più grandi autori di pubblicazioni sul Mediterraneo emerge spesso che a dominare è la terraferma, analizzata e approfondita con lunghe e meditate indagini verso l’interno piuttosto che verso la distesa d’acqua nella quale città grandi e piccole si specchiano. Il mare svolgerebbe una funzione di supporto. Leggendo questi studi, ci si immerge non nelle acque del mare, ma in quelle della storia più periferica, marginale, costiera. Questa mostra, o meglio questa “narrative exhibition”, non a caso è intitolata “Terracqueo”. E non per fare un torto al mare, che rimane il protagonista: non esisterebbe, altrimenti, la terraferma.

“Terracqueo” è stata inaugurata oggi a Palazzo Reale di Palermo e resterà visitabile fino al 31 gennaio 2021. Erano presenti tra gli altri il presidente della Fondazione Federico II Gianfranco Miccichè, il direttore generale della Fondazione Federico II Patrizia Monterosso, l’assessore ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana Alberto Samonà, il direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli “Mann” Paolo Giulierini, nonché altri illustri ospiti, che hanno simbolicamente tagliato una cima, anziché il consueto nastro.

Ricostruire la storia del Mediterraneo – lungo un percorso articolato in 8 sezioni, dalla geologia ai giorni nostri, passando per il commercio, le guerre, le navigazioni e l’archeologia subacquea – assume un significato che è solo marginalmente “espositivo”. Il tentativo, certamente ardito e sicuramente apprezzabile della Fondazione Federico II e del Comitato Scientifico multidisciplinare con la collaborazione di decine di prestigiose istituzioni museali, è di raccontare e trasferire al visitatore “un” concetto di Mediterraneo per dargli accesso alla sua “anima”, pur nelle diverse sfaccettature e opinioni messe in evidenza nel tempo da autori come Braudel, Abulafia e Broodbank. L’obiettivo è dichiarato: donare al visitatore una chiave di lettura dell’antichità per rituffarlo improvvisamente nel presente e fargli percepire cosa era il Mediterraneo ieri e cosa è diventato oggi. Ecco perché l’ultima sezione è intitolata “Il Mediterraneo. Oggi”, un reportage crudo e senza filtri, opera della fotografa Lucia Casamassima e del giornalista Carlo Vulpio, che avverte: “non ci troviamo di fronte ad un melting pot e nemmeno di fronte a diversità da tenere assieme, bensì a tante identità e culture profonde. É il più grande condominio del mondo, all’interno della quale ognuno considera gelosamente nostrum la fetta di mare da cui è bagnato”.

E allora pronti a incunearsi letteralmente in Terracqueo, nelle Sale Duca di Montalto del Palazzo Reale di Palermo, dentro un racconto scandito da 324 reperti, ognuno con un significato legato alla narrazione, costruita grazie a lavoro corale coordinato dalla Federico II col Comitato scientifico, in collaborazione con il Dipartimento dei Beni Culturali e il Centro Regionale per il Restauro, con numerosi musei regionali e civici, soprintendenze, con la prestigiosa collaborazione di musei nazionali come il Museo Archeologico Nazionale di Napoli “Mann”, i Musei Capitolini e il Museo Etrusco di Volterra. Un prezioso e proficuo supporto, poi, giunge dal Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Palermo e dal Museo “G.G. Gemmellaro” e le tre Fondazioni (Fondazione Sicilia, Fondazione Mandralisca e Fondazione Whitaker). Determinante il contributo concreto di importanti studiosi tra i quali Luigi Fozzati, Stefano Medas, Marco Anzidei, Nino Buttitta, Massimiliano Marazzi, Caterina Greco, Carlo Beltrame, Carla Aleo Nero, Babette Bechtold, Giulia Boetto e Marilena Maffei.

Otto “step” narrativi attendono il visitatore, che diventa viaggiatore sia nel tempo, attraversando millenni, che nello spazio sia esso marino, sopra e sott’acqua o nella terraferma : “Un mare di storia”, “Un mare di migrazioni”, “Un mare di commerci”, “Un mare di guerra”, “Un mare da navigare”, “Un mare di risorse”, “Archeologia subacquea: passato e presente”, “Il Mediterraneo. Oggi”.

I reperti. 12 rostri, 19 elmi, 65 monete, 20 ancore, 24 anfore. Sono solo alcuni dei 324 reperti esposti. L’oggetto diventa il tassello di una storia antropologica.

Il percorso espositivo inizia con un reperto di richiamo internazionale: l’Atlante Farnese, realizzato nel II sec. d. C. prendendo spunto da una più antica scultura di fase ellenistica.

È stato volutamente collocato all’inizio del percorso perché incarna la visione della mostra. E’ il simbolo della ricerca di una rotta oggi troppo spesso smarrita. Oltre al valore estetico suscita un interesse di natura scientifica: Atlante sorregge il globo celeste sul quale stesso vengono correttamente raffigurate le costellazioni, la precessione degli equinozi e alcuni meridiani e paralleli, di fatto una sbalorditiva sintesi tra arte e astronomia, già attestata in tempi antichi.

Tra i reperti c’è anche la Nereide su Pistrice databile ai primi decenni del I secolo d. C., venne ritrovata nella villa che Publio Vedio Pollione fece costruire sulla collina un tempo chiamata Pausilypon oggi Posillipo. La particolarità della Nereide di Posillipo è che non rientra in schemi confrontabili, esclusa la possibilità che possa derivare da un modello ellenico del IV-III secolo a. C. di derivazione scopadea.

Un altro spaccato di vita è rilevato dal Louterion ritrovato nel relitto di Panarea III: ci conferma infatti la presenza a bordo di altari destinati a riti propiziatori connessi alla navigazione, riconducendo alla natura umana che da sempre nei percorsi rivolti verso l’ignoto si affida alla preghiera.

Il Cratere del Venditore di tonno, databile alla prima metà del IV sec. a.C. in un’area che si è inclini a localizzare in Sicilia, svela una scena di grande attualità, ricorrente anche nei mercati rionali odierni e testimonia la perpetuazione delle antiche tradizioni fino ai nostri giorni: un venditore di pesce sta affettando un tonno su un ceppo e il compratore per concludere l’acquisto è provvisto di una moneta.

Multimedialità. La Fondazione Federico II ha voluto integrare la narrazione con un allestimento multimediale. Attraverso l’innovazione, il visitatore vive un’esperienza ancor più reale. Sin dal corridoio di ingresso farà un’esperienza immersiva, “nuotando” virtualmente nei fondali marini grazie all’installazione curata da Sinergie Group. Si avrà modo, inoltre, di comprendere come tutto ebbe inizio grazie ad un “solido interattivo” realizzato da TEICHOS in collaborazione con l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, ENEA e INGV. A partire dal Giurassico la collisione di due grandi placche tettoniche originò il Mediterraneo, ex Mar della Tetide.

Anche l’ultima sezione, “Il Mediterraneo. Oggi”, che può considerarsi una mostra nella mostra ha un taglio immersivo-multimediale. Un viaggio lungo otto mesi in 17 Paesi ha dato vita al reportage firmato dal giornalista Carlo Vulpio e dalla fotografa Lucia Casamassima, che nell’allestimento di Terracqueo ingloba il visitatore in mezzo a due pareti fotografiche, animate dall’video animation creator Luca Daretti. Sarà come ripiombare nel presente: non solo attraverso i suoi 46 mila chilometri di litorale, quello è solo l’affaccio sul mare, ma anche nel suo “spazio dilatato” (come lo chiama Maurice Aymard), cioè in quelle aree interne e distanti dalle rive mediterranee – in Africa e in Asia, ma anche nell’Europa balcanica – che vivono in diretta relazione con tutto ciò che avviene in questo luogo unico.

Un’altra installazione riguarda le immagini raffigurate nel Cratere del naufragio (VIII sec. a. C., Ischia – Pithecause). È stata voluta all’interno di Terracqueo dalla Fondazione Federico II poiché simboleggia il naufragio, tema di grande attualità oggi come allora. Il Cratere fu ritrovato ad Ischia all’interno di una tomba nella necropoli di San Montano, risale all’VIII secolo a.C. . L’installazione video è stata curata da Teichos (Servizi e Tecnologie per l’archeologia), Salvatore Agizza e Federico Baciocchi.

Emergono elementi di una memoria indelebile sulla natura dell’uomo e il suo rapporto col Mediterraneo, narrando emozioni che riconducono al mare con il suo significato dicotomico, come luogo di speranza per approdare in una nuova terra, dove costruire un futuro migliore, o abisso in cui si consumano drammatici naufragi.

“Il Mediterraneo è tutto Terzo mondo, tutti i Paesi che vi si affacciano sono più o meno poveri, ma è il centro della civiltà mondiale. Non credo che la civiltà porti povertà, ma è possibile il contrario e cioè che la povertà, le difficoltà e il dover combattere ogni giorno producano civiltà. Una civiltà che unisce i popoli del Mediterraneo: il pensiero, infatti, che essa possa dividere è una follia”. Così il presidente della Fondazione Federico II e presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè, a margine dell’anteprima della mostra “Terracqueo”, a Palazzo Reale. E ha aggiunto: “I siti archeologici siciliani sono i più curati del mondo. Se si considerano la Valle dei Templi, Segesta o Selinunte, a differenza del Partenone di Atene o delle piramidi egizie tenute malissimo, noi abbiamo mantenuto i nostri siti in maniera straordinaria”, ha concluso Miccichè.

“Siamo di fronte ad una grande narrazione, frutto di un lavoro corale che vuole stimolare una riflessione. Oggi il Mediterraneo, luogo unico per bellezza e testimonianze storico-artistiche – ha detto Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione Federico II – vive di grandi contraddizioni: tra loro si susseguono i concetti di ricchezza e povertà, rendendo evidenti grandi processi di trasformazione globale che dolorosamente distolgono e ormai troppo spesso consacrano l’atteggiamento mentale dei più ad una nuova divinità contemporanea: l’apatia. Terracqueo, grazie ad una lunga e faticosa ricerca che parte dalla genesi del Mediterraneo fino ai giorni nostri, pone un’importante presa di coscienza per i visitatori di ogni cultura e nazionalità. Terracqueo vuole rappresentare l’acme della produzione culturale di diverse società del mondo antico, narrando eventi storici come ad esempio  la Battaglia delle Egadi, che divengono non solo lo spunto per conoscere le tecniche e le strategie militari, ma anche un modo per studiare la vita di bordo oltre che in pace anche in guerra. Dopo aver narrato l’antichità, l’ultima sezione ritrae il Mediterraneo odierno con crudezza e non può che suscitare nel visitatore un confronto tra ieri e oggi. Ognuno avrà la sua risposta”.

“Terracqueo – afferma Alberto Samonà, Assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – segue un percorso che dall’antichità giunge fino al periodo bizantino, per approdare, poi, alla sezione ‘Il Mediterraneo. Oggi’. Questa mostra è l’occasione per una riflessione che tutti dovremmo fare, quella di rileggere questo piccolo mare, scrigno di bellezze e sorprese, alla luce dell’attualità”.

“Il titolo della mostra – prosegue Samonà – si lega all’attività dell’uomo che ha intessuto un rapporto proficuo tra terra e mare, facendoli dialogare, forse, in “sabir”, la Lingua Franca Mediterranea, un idioma compreso e parlato in tutti i porti; a tal proposito, mi tornano in mente le parole dell’artista Mimmo Paladino, che riporto fedelmente: «Sono convinto che mai come oggi, pur vivendo in contesti sempre più dilatati, nei quali i contatti sono velocissimi, per resistere non dobbiamo mai abbandonare le nostre radici. Per diventare internazionali, dobbiamo appartenere a un Paese. Quel Paese, per me, è il Mediterraneo, che è sterminato patrimonio di culture e di visioni”.

“Il Meridione – ha detto Paolo Giulierini, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli “Mann” – rappresenta la punta di diamante del Paese per fare la differenza nei beni culturali e nel turismo, vero traino del sistema Italia. Questa unità di intenti tra Napoli e Palermo, tra Campania e Sicilia, rappresentano un impulso in questa direzione. Le mostre Thalassa organizzata a Napoli e Terracqueo a Palermo condividono la stessa visione del Mediterraneo, perciò siamo orgogliosi di sentirci parte di un tutt’uno. Oggi per il Mann essere qui è come proseguire su un solco già tracciato”.

“Il Mare Nostrum per la Sicilia – dichiara Sergio Alessandro, Dirigente Generale Dipartimento Beni Culturali, Ambientali e dell’Identità Siciliana – è da sempre l’elemento rigenerante in grado di favorire passaggi culturali d’ogni genere. E così, attraverso le complesse e innovative attività archeologiche condotte nel corso degli anni dalla Soprintendenza del Mare, si è avuto modo di portare in superficie reperti unici e, allo stesso tempo, utili a comprendere la storia del Mediterraneo. Una mostra multidisciplinare dove importante è stato l’apporto anche del Museo Gemmellaro dell’Università di Palermo che ci ha consentito di conoscere peculiarità poco note sulla storia geologica della nostra Isola”.

“La grande idea espositiva di Terracqueo – ha detto Stefano Biondo, Direttore Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro è legata alla capacità di avere inserito diverse

professionalità e differenti visioni sul Mediterraneo: gli archeologi, gli storici dell’arte, gli antropologi, i geologi e l’innovazione in merito ad una cronaca giornalistica contemporanea dettagliatamente studiata per coinvolgere in modo diretto il visitatore. L’obiettivo del Centro Regionale per la Progettazione ed il Restauro sarà quello di riconsegnare al termine della mostra i reperti in condizioni migliori ai musei di provenienza, realizzando lì dove necessario interventi atti alla salvaguardia degli stessi manufatti”.

“L’abbondanza di metafore sul Mare Mediterraneo – afferma il giornalista Carlo Vulpio – ne ha prosciugato quasi tutta l’acqua. E tuttavia una definizione soddisfacente di questo mare non è stata ancora trovata. Ponte, crocevia, culla, spazio geografico e mentale, area commerciale e culturale, mare di religioni, di migrazioni e di guerre, e persino, suggestiva immagine, continente liquido e quindi sesto continente. Indubbiamente è più facile dire cosa il Mediterraneo non è, anziché il contrario. Anche perché la stessa nozione unitaria di Mediterraneo non è data per scontata, tanto è vero che si parla a giusta ragione di tanti e differenti Mediterranei all’interno dello stesso mare”.

“Dire quindi cos’è il Mediterraneo, ha ragione Scipione Guarracino, costituisce un azzardo – prosegue Vulpio -. Mi piace definirlo oggi ‘il più grande condominio del mondo’. Le immagini della sezione ‘Mediterraneo. Oggi’ della grande mostra “Terracqueo” che la Fondazione Federico II ha allestito nel Palazzo Reale di Palermo sono il frutto di questo azzardo, un viaggio durato otto mesi, da maggio alla fine del 2017, attraverso 17 Paesi”.

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