BOLOGNA – A inizio autunno Michele Crisci, presidente e amministratore delegato di Volvo Italia, è stato riconfermato ai vertici dell’Unrae, l’associazione dei costruttori esteri sul nostro mercato, quelli che rappresentano oltre il 70% dei veicoli venduti. Il suo è un osservatorio privilegiato ma la sua è anche una posizione che scotta perché deve preoccuparsi di un settore in grande sofferenza.
Nel 2013 il mercato dell’auto in Italia aveva toccato il picco più basso degli ultimi trent’anni con appena 1 milione e 350 mila vetture immatricolate. Quest’anno andrà meglio o peggio?
«Andrà meglio ma di pochissimo. Purtroppo la pandemia è stata spietata e i risultati economici o quelli di vendita li conosciamo tutti. Mi addolora pensare che il 2020 sarà ricordato tra i più bassi di sempre».
Come si può far ripartire il mondo dell’auto dove anche solo nelle concessionarie lavorano più di 140 mila addetti?
«Serve prima di tutto un vero piano strategico a lungo termine che guardi a tre aree fondamentali. La prima è una transizione motoristica con una serie di incentivi per le vetture meno inquinanti senza dimenticare che il parco circolante è il vero problema dell’Italia; quindi la transizione va accompagnata a una rottamazione importante che dia la possibilità a tutti di mettersi alla guida di vetture moderne come quelle elettriche e in futuro anche a idrogeno, ma anche quelle endotermiche di ultima generazione. La seconda area è quella fiscale perché da noi non si rispetta né la normativa europea e nemmeno si guarda a quello che fanno gli altri paesi, e mi riferisco in particolare alle detrazioni dell’Iva e alla deducibilità delle auto aziendali. La terza infine riguarda le infrastrutture del Paese per dare le ricariche necessarie non soltanto in città ma anche sulle strade di grande scorrimento, autostrade comprese».
Quanto infastidisce l’idea che si stenti a dare aiuti a un giro d’affari che vale da solo oltre il 12% del prodotto lordo nazionale, mentre si incentivano i monopattini?
«Infastidisce molto in primo luogo perché questo mostra una leggerezza politica dal punto di vista economico, e poi perché sembra che il mondo dell’auto sia l’unico che inquini mentre è proprio il mondo dell’auto che si sta spostando verso l’elettrico. Noi siamo quelli che stiamo producendo le auto pulite e noi abbiamo l’interesse che queste vetture vengano usate da tutti; ma la sostenibilità ambientale deve andare a braccetto con quella economica. Ci serve aiuto».
Tutti sanno che se si vuole ridurre l’inquinamento bisogna togliere dalle strade milioni di veicoli puzzolenti e insicuri, però non si riesce a farlo capire a chi ci governa. Perché?
«Perché si pensa erroneamente che l’inquinamento sia legato soltanto al mondo dei motori mentre è risaputo che non è così. Ma soprattutto si pensa che basti offrire auto pulite per risolvere il problema, dimenticando che se anche arrivassimo a vendere 2 milioni di auto elettriche all’anno – e non sarà mai possibile – ci vorrebbero 18 anni per cambiare il parco circolante. Ed è qui che bisogna agire. La sostenibilità ambientale non può essere soltanto una bandiera ideologica ma deve essere fatta di atti concreti, in particolare di una rottamazione lunga nel tempo che permetta a tutti di accedere alle nuove tecnologie».
Adesso voi costruttori avete tutti sterzato, chi credendoci molto e chi credendoci meno, verso le auto elettriche o elettrificate. L’investimento è costosissimo mentre i risultati sono ancora deludenti al di là delle percentuali d’incremento che strabiliano soltanto perché si parla di numeri ancora molto piccoli. Non è che l’industria dell’auto andrà a sbattere?
«Non credo, perché la decisione è stata presa tenendo conto che ci sono i parametri europei da rispettare; soprattutto non si andrà a sbattere a un’unica condizione: che ci si renda ben conto che gli automobilisti abbracceranno queste tecnologie non solo quando ci sarà un vantaggio economico, perché a quello ci penseranno le Case, ma quando tutti percepiranno che le strutture di ricarica saranno accessibili ovunque».
L’Italia è un paese lungo e stretto, con percorrenze spesso elevate e poche città grandi . Come farete a convincere i tanti automobilisti che viaggiano ad abbandonare le auto a gasolio?
«Quello che sta succedendo adesso è che molti marchi automobilistici stanno pensando di entrare anche nel business della distribuzione dell’energia elettrica. Una scelta che si è resa necessaria quando ci si è accorti che gli Stati, o meglio i Governi, non si attrezzano. Non appena si materializzerà la rete dei costruttori il gioco sarà fatto».
Quanto crede nella ripresa? Quanto ci credono i concessionari?
«Penso che ci sia molta fiducia, perché le case si sono dimostrate molto premurose nei confronti delle reti, e perché i concessionari sanno bene che gli italiani non vogliono fare a meno dell’auto». Fonte www.repubblica.it