Vale il 10 per cento del Pil il settore auto. È il primo contribuente per l’erario al quale versa circa 80 miliardi, il 16 per cento delle entrate tributarie nazionali. Solo dalle accise sui carburanti lo Stato ricava 20 miliardi. Numeri che da danno l’idea dell’importanza strategica ed economica di questo settore. Numeri che in questi mesi di pandemia sono stati continuamente ripetuti. Se non altro perché la crisi ha picchiato duro proprio su questo settore, da sempre il termometro della salute economica del Paese. E, soprattutto, perché la sensazione di imprenditori e commercianti è quella di un “certo abbandono” proprio d parte della politica. Come se l’auto fosse soltanto un lusso e non una necessità per famiglie e lavoratori che in alternativa devono fare i conti con un trasporto pubblico non proprio tra i migliori d’Europa. Certo, sono arrivati gli incentivi che però hanno sostenuto solo le elettriche mentre per il resto i fondi sono finiti immediatamente. Insomma, se l’obiettivo era rimettere in moto il mercato non è stata proprio la strategia giusta. In un Paese come l’Italia dove il parco circolante è tra i più vecchi d’Europa serviva ben altro. La parola magica semmai doveva essere “rottamazione”. Che significa togliere dal mercato auto vecchie, poco sicure e inquinanti, per sostituirle con quelle di ultima generazione. E per far questo occorre un piano di maxi incentivi, una misura eccezionale di fronte ad una crisi eccezionale. Ma si fa ancora in tempo. Sostenere la ripresa del settore auto è ancora possibile se, come sembra, la maggioranza di governo avrebbe deciso di prorogare gli incentivi auto sia per l’acquisto di elettriche e ibride che per vetture a benzina e diesel di ultima generazione: per finanziare la misura sarebbero necessari fra i 400 e i 500 milioni. Viene solo da chiedersi: ma cosa aspettano?
Fonte www.repubblica.it