ROMA – Primo attore nella storia di questa fabbrica spagnola è lo svizzero Marc Birkigt, 1878, giunto a Barcellona nel 1899 dopo un’esperienza di lavoro in Svizzera, ovviamente in una fabbrica di orologi. Assunto nella fabbrica De La Quadra per progettare e costruire omnibus elettrici, Birkigt ne diventa progettista e direttore tecnico, ma l’avventura “elettrica” finisce subito male, e la fabbrica viene acquistata dallo spagnolo Castro, nel 1901, che conferma Birkigt nel suo incarico.
L’attenzione dell’azienda ruota verso la costruzione di auto e, nel 1903, la fabbrica “sforna” due prototipi progettati da Birkigt, un monocilindrico di 4 CV e un due cilindri che ne eroga 8. Lo svizzero a questo punto mette in luce la sua vera vocazione, come emerge subito, osservando la cura con cui sono finite le due auto. I costi sopportati per la realizzazione dei prototipi però portano la Castro in una difficile situazione economica, ed è qui che entra in scena il facoltoso catalano Damian Mateu, che rileva la proprietà e fonda nel 1904 – con Marc Birkigt – la Hispano Suiza, con l’obiettivo di realizzare le migliori auto del momento. Il primo prodotto che esce dalla nuova fabbrica è una 20 cavalli a 4 cilindri con una tecnica sofisticata per i tempi, infatti ha una testata a T e la trasmissione a cardano in luogo della catena. L’affermazione commerciale è buona, infatti l’auto resta in produzione fino al 1907, quando viene sostituita da un’altra 4 cilindri con potenza doppia, 40 cavalli. Già l’anno dopo inizia la scalata al prestigio, con una 6 cilindri che sottolinea la tendenza a costruire auto di lusso con grande apporto di tecnologia.
Un aiuto esterno però viene dalla passione di un pilota d’eccezione, il Re di Spagna, Alfonso XIII. Il Re indice la Coppa di Catalogna, riservata a vetture di piccola cilindrata (sulla falsariga di una gara analoga in Francia), e la Hispano Suiza iscrive subito tre auto a 4 cilindri, ma vince autorevolmente la Peugeot, mentre le Hispano non terminano la gara. Birkigt deve attendere l’anno successivo per dimostrare almeno l’affidabilità delle sue auto, ancora seconde alla Peugeot, ma giungono tutte al traguardo, e pochi mesi più tardi le Hispano sono in Francia con un nuovo 4 cilindri, più potente, che vince la Coupe de l’Auto. Da questa vettura deriva la Alfonso XIII, finalmente un bersaglio centrato, che fa parlare tutta Europa del lusso e dell’ottimo livello tecnico raggiunto. Intanto l’ingegnere svizzero – in accordo con Mateu – acquista a Levallois, vicino a Parigi, una fabbrica per costruire in Francia le auto iberiche. Siamo nel 1911, inizio di una nuova era, che porta presto la succursale a superare la casa madre. Intanto Birkigt perfeziona un nuovo sistema che sposta valvole e albero a camme in testa e iscrive questa nuova vettura alla Coppa francese del 1912, ma il motore si rompe durante una prova prima della gara. È necessario attendere il 1913 per vedere un altro modello, più affidabile, che riesce ad ottenere anche buoni risultati in pista.
Si arriva così al 1914, e la Hispano Suiza produce una vettura da competizione con carrozzeria in alluminio, destinata a sostituire la Alfonso XIII, un’idea venuta a Birkgit dopo che era salito al volante di una Rolls Royce, eterna rivale delle Hispano, insieme all’italiana Isotta Fraschini. Ma la Grande Guerra è alle porte, non c’è più tempo per pensare a nuove auto, e la Hispano Suiza inizia a produrre motori per aerei. Così i suoi 8 cilindri a V vanno sugli SPAD, caccia da 190 chilometri orari, in forza all’aeronautica francese. Dopo la Guerra, l’esperienza di Birkigt, maturata sugli aerei, viene mutuata su un motore destinato alla nuova Hispano Suiza, costruita a Levallois dal 1919. Il sei cilindri in linea di 6.600 centimetri cubi eroga 135 cavalli, strapotente per l’epoca e magnifico nel look: motore in nero lucido e condotti di aspirazione cromati accompagnano la doppia accensione (trapiantata dagli aerei), gli alberi a camme in testa e un carburatore Solex doppio corpo. La H6B, questo il nome della vettura che segna il nuovo corso della Hispano Suiza, si propone con il classico cofano motore lungo e imponente, coronato da due grandi proiettori anteriori che racchiudono l’enorme calandra, su cui spicca il nuovo logo, una cicogna ad ali spiegate che, casualmente ricorda nella postura, sul tappo del radiatore, la vittoria alata che troneggia sui cofani delle Rolls. Intanto nella fabbrica spagnola si costruisce una gemella della H6B, ma equipaggiata con un 6 cilindri di soli 3700 centimetri cubi. A Levallois la H6B si costruisce fino al 1930, sostanzialmente uguale, ma con motori sempre più potenti. Arriva poi una sorella, la H6C, con motore di 8 litri e velocità massima di 170 chilometri orari.
È in questo periodo che l’astro della Hispano Suiza brilla sfolgorante, tutti i notabili del mondo ne vorrebbero una. Negli anni del trionfo la fabbrica francese si sposta a Bois Colombes e vince anche una insolita gara a Indianapolis contro una Stutz, girando per 24 ore senza fermarsi che per i rifornimenti. Stravince, con un vantaggio che cresce a dismisura perché la Stutz ha un guasto che la blocca. La H6B diventa il simbolo stesso dell’affidabilità, ma intanto le Rolls montano motori più potenti, e la H6B deve crescere ancora, ed ecco arrivare con perfetta sincronia il capolavoro di Birkigt, un 12 cilindri di nove litri e mezzo e 220 cavalli che garantisce una velocità di oltre 180 orari alla nuova 12V. Il primato della vettura più potente però arriva con l’aumento di cilindrata, che raggiunge gli 11.300 centimetri cubi e garantisce 250 cavalli per spingerla fino a 200. La 12V resta in produzione fino al 1938, poi la seconda Guerra Mondiale decreta la chiusura degli stabilimenti. Solo in Spagna si riesce ancora a lavorare, costruendo per tutto il periodo bellico la nuova 56Bis, che ha lo stesso motore 8 litri della H6C, poi nel 1946 l’azienda viene rilevata dalla ENASA, una fabbrica di autocarri ed esce di scena. Nello stesso anno da Bois Colombes esce un prototipo a trazione anteriore mosso da un V8, ma al salone di Ginevra del ’46 viene bocciato dal mercato e non entra in produzione.
Fonte www.repubblica.it