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L’auto e la crisi dei microchip. Tutto quello che bisogna sapere

ROMA – La carenza di microcircuiti ha avuto conseguenze pesantissime sulla produzione globale di automobili; ecco perché un piccolo particolare diventa il protagonista in un mondo di giganti industriali. Non è proprio come Davide e Golia, ma un minuscolo componente elettronico ha avuto la meglio sulla potenza industriale dei costruttori d’auto, grandi o piccoli, a oriente o occidente senza distinzioni.

La crisi produttiva che sta causando perdite consistenti e una inopportuna (visto il periodo) contrazione del mercato globale ha origine proprio da un particolare dal costo quasi irrisorio (quelli che vengono definiti chip costano anche meno di un dollaro) ma indispensabile per far funzionare le automobili che usiamo e si producono oggi. Indispensabile perché permette di far funzionare e governare innumerevoli funzioni, ossia tutto quello che comporta un qualsiasi circuito elettronico o un meccanismo elettrico; in pratica le funzioni che sono state progressivamente sottratte a quelli che una volta erano “meccanismi” non elettronici.

Le ragioni della crisi

Perché allora è esplosa la carenza di questi fondamentali componenti? C’è la questione pandemia, ovviamente, che in questo caso ha toccato un sistema nel quale manca quell’elasticità che permette ad altri settori di adattarsi rapidamente alle necessità produttive dei grandi costruttori.

Il vizio di nascita del “chip” è la complessità tecnologica e il basso costo, che messi assieme hanno prodotto una situazione nella quale non conviene a nessuno produrseli in casa. Il risultato è un assoluto monopolio di pochissime aziende, prevalentemente cinesi, che realizzano questi componenti per tutto il resto del mondo. Per fare un esempio il gruppo TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. copre praticamente la metà del mercato totale dei materiali per semiconduttori (che vale quasi 60 miliardi di dollari).

Diversamente da altre “minuterie” automobilistiche, come un bullone o un particolare in plastica che possono essere realizzati rapidamente quasi ovunque, i chip sono prodotti in enormi e complessi stabilimenti capaci di produrne milioni a basso costo ma in base a una programmazione estremamente rigida, per cui un rallentamento, come quello conseguente la pandemia, non è recuperabile in tempi brevi.

La crisi attuale ha messo in rilievo l’importanza strategica di questi componenti, tanto da spingere l’Unione Europea a emanare uno specifico “Chips Act” per promuovere la produzione locale di questi componenti e ridurre quindi la dipendenza dalla produzione asiatica. Intanto però i maggiori costruttori devono scegliere fra interrompere la produzione oppure riempire i piazzali-deposito di vetture incomplete, in entrambi i casi con un danno consistente.

Ma dove sono i microchip in un’auto di oggi?

Il powertrain, cioè il sistema energetico di bordo, quello che fa muovere ogni auto, senza microchip rimane fermo come una pietra. In base alla tecnologia di trazione dell’auto, dai microprocessori dipendono il motore, le batterie, i motori elettrici, l’elettronica di potenza e anche il cambio. Se a bordo c’è un motore a combustione interna, sia a benzina che diesel, il sistema di iniezione del combustibile, il controllo della combusione e l’irrinunciabile trattamento gas di scarico, che comprende sistema di ricircolo, catalizzatore, alimentazione e dosaggio dell’urea nei motori a gasolio, senza chip non funzionano.

Ma anche il comportamento su strada, ottenuto grazie al controllo elettronico della trazione e della stabilità di marcia, è ormai progettato dando per scontata la presenza nel sistema di microcircuiti.

L’impianto frenante dipende da microchip per l’azionamento controllato e differenziato sulle quattro ruote, il controllo di ogni singolo freno, il monitoraggio dello stato del sistema e della temperatura. Quasi tutto, insomma.

Entrando nell’abitacolo, il navigatore ha microchip che permettono il funzionamento dello schermo, del processore, dove presente anche del cd, oltre che naturalmente dell’essenziale sistema di posizionamento Gps.

L’intera strumentazione a disposizione del conducente poi, dal pannello di controllo, al display, al computer di bordo e fino ai singoli indicatori, non può nemmeno accendersi senza l’attivazione di piccolissimi ed essenziali chip.

Quello che oggi viene chiamato infotainment e tutte le nuove funzioni collegate alla connettività dei veicoli (radio, riproduzione audio, telefono, scambio dati) sono un vero e proprio feudo dei microchip all’interno di ogni vettura.

Le sempre più numerose tecnologie per la sicurezza e l’assistenza alla guida, dagli airbag, alle cinture di sicurezza con pretensionatore, fino ai sensori parcheggio, al radar, alle videocamere, al cruise control e alla modalità di mantenimento corsia, come anche la frenata d’emergenza, hanno bisogno di microchip addirittura su più livelli dell’architettura elettronica che le fa funzionare.

Il climatizzatore senza chip non sa nemmeno misurare la temperatura. Per riuscire a regolarla in accordo alle volontà di chi è a bordo ha bisogno di ulteriori microcircuiti, inseriti in più complessi sistemi elettronici miniaturizzati.

A semiconduttori e circuiti stampati è affidato anche il funzionamento di due elementi apparentemente semplici, come le luci e i tergicristalli. Il fascio luminoso, la sequenza di attivazione dei led, gli stessi indicatori di direzione, così come il sensore di pioggia o la regolazione della velocità delle spazzole sul parabrezza dipendono tutti da quel piccolo, poco costoso, ma oggi a volte introvabile componente.

Fonte www.repubblica.it

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