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Quando l’auto diventa un’opera d’arte

Nel quarto punto del Manifesto del Futurismo pubblicato da Le Figaro nel 1909, Filippo Tommaso Marinetti scrive: “La magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia»

Roberto Marcello Baldessari (1916) 

Il fondatore del movimento futurista – una delle poche correnti artistiche del Novecento ad utilizzare l’automobile e le sue proprietà dinamiche come soggetto ispiratore di alcune opere  – considerava la celebre scultura di epoca ellenistica scolpita in commemorazione della vittoria di Eurimedonte, come una delle massime e più sublimi espressioni di dinamismo. Sin dal periodo classico infatti, la statua della Nike esprime la poesia del gesto come la Venere di Milo quella della bellezza femminile ed agli inizi del ventesimo secolo, l’atemporale espressione del movimento viene traslata e sovraimpressa in concetti di spazio e tempo da Umbero Boccioni, Giacomo Balla, Gino Serverini, Carlo Carrà e Fortunato Depero. Nuovi maestri che nel loro visionario astrattismo, descrivono la trasformazione accelerata della società attraverso i suoi principali simboli e paure.

Umberto Boccioni (1904) 

Dai grattacieli alle locomotive alle ruote, la prospettiva sul mondo offerta dai quadri Stati d’animo; gli addii (Boccioni, 1911), Velocità Astratta (Balla, 1913), Ritmo Plastico del 14 Luglio (Severini, 1913) e Treno partorito dal sole (Depero, 1924) ritraggono una convulsa avanguardia di cui l’automobile è non solo uno degli emblemi di un più ampio avanzamento tecnologico, ma anche il nuovo oggetto del desiderio per la classe medio alta. La bourgeoise ottocentesca dipinta da impressionisti, espressionisti e secessionisti viene sostituita da altri teoremi ed esplorazioni di ciò che verrà. Il cambio di paradigma rispetto al passato è netto perché l’arte della ricerca futurista non ritrae più scene di vita borghese ma utilizza invece le macchine e la macchina – che al tempo incarnava uno dei più inarrivabili oggetti del desiderio – per le sue ricerche focalizzate sul senso della velocità.

Il periodo a cavallo delle guerre mondiali sottrae invece quasi completamente l’automobile dalla comunicazione artistica in quanto metafisica e surrealismo si occupano di fantasia, sogno, subconscio e non di realtà. L’oblio proseguirà fino all’espressionismo astratto di Pollock e Rothko ma con il boom economico della nuova società post bellica arriva il consumismo e con esso, la Pop-Art. Tra gli artisti degli anni sessanta  più affezionati alle iconografie di Cadillac e muscle cars spiccano Roy Liechtestein, Peter Phillips, James Rosenquist e Bernard Rancillac. Producono opere in technicolor con atmosfere tra fumetto e reclame in cui s’inseriscono cofani e cosmetici, fanali e pin-up, radiatori e spaghetti. Beni di consumo appunto la cui critica più nota risiede nelle tele e serigrafie di Andy Warhol; anche autore del quadro fotografico White Car Crash 19 Times (1963) e della pittura arcobaleno eseguita a mano sulla Bmw M1 del 1979. Al movimento art-car su carrozzeria Bmw, hanno partecipato altri celebri artisti della seconda metà del secolo come Rauschenberg, Stella, Holzer e David Hockney mentre il primo esemplare della stirpe, è la 3.0 Csl commissionata a Calder dal pilota francese Poulain che nel 1975, la utilizzò nella 24 Ore di Le Mans.

Roy Lichtenstein (1963) 

Se la Pop art sostituisce il concetto all’oggetto – e l’automobile è uno degli oggetti tipici della società consumistica –  i più importanti artisti dell’era contemporanea lavorano su identità personali (De Dominicis, Marina Abramovich) e sul futuro della specie in relazione ai nuovi argomenti climatici e scientifici (Damien Hirst, fratelli Chapman).  Dell’auto non vi è traccia neanche nella street-art dei muralisti o nelle denunce sociali di Banksy. Resta invece saldo e attuale il rapporto con la sfera delle arti applicate; un punto di contatto particolarmente evidente in ambito stile e design notato dal Moma di New York già nel 1951 con la retrospettiva “8 Automobiles” Sempre al medesimo museo di arte moderna di Manhattan sono da tempo esposte la Fiat 500 ed il fanale della Mazda Mx-5 e dalla prossima estate la mostra “Automania” promette di esplorare le trasformazioni sociali, visive e tecnologiche legate all’automobile negli ultimi cento anni. Ci saranno  film, foto, sculture, dipinti e modelli come la DS 23 Sedan paragonata ad “un tempio greco” da Les Corbusier proprio a dimostrazione del fatto che pur vivendo ai margini della scena artistica, l’auto ha sicuramente ispirato alcuni dei suoi più illustri esponenti oltre ad aver modificato le abitudini della società ed influenzato il pensiero di architetti, stilisti, designer.

Fonte www.repubblica.it

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