ROMA – Si fa presto a dire Gigafactory. La definizione, nata nel 2013 con il progetto della prima grande fabbrica dedicata alla produzione motori elettrici e batterie per auto elettriche e sistemi di accumulo energetico domestici della Tesla in Nevada, viene riferita oggi a impianti tra loro molto diversi.
Per orientarsi nel mondo delle Gigafactory, il cui nome viene dall’unione di Gigawatt (GW, cioè milioni di Watt, unità di misura della potenza) con il termine factory, quindi fabbrica, è essenziale capire cosa si produca all’interno di questi grandi contenitori industriali. Se il termine nasce per la fabbrica della Tesla di Spark, in Nevada, che produce sia motori elettrici, sia batterie, oggi è applicato principalmente a impianti di produzione dei soli accumulatori. Una Gigafactory è una fabbrica in grado di produrre ogni anno batterie per un capacità di accumulo complessiva di decine di Gigawattora (GWh). La Gigafactory della Tesla negli Usa produce batterie per oltre 20 GWh l’anno.
Chi sogna un futuro prossimo fatto di tecnologie innovative nel settore dell’accumulo, trova nelle Gigafactory la dimostrazione che la rivoluzione – nel settore delle batterie – c’è già stata ed è quella che ha portato alla diffusione della tecnologia agli ioni di litio. Tutte le enormi fabbriche in costruzione produrranno nei prossimi anni centinaia di migliaia accumulatori al litio. Con miglioramenti previsti nella chimica e nei materiali degli elettrodi, ma fondamentalmente molto simili alle batterie attuali. La missione delle Gigafactory è di rendere sempre meno costoso e più affidabile il processo. Con la grande sfida legata all’impronta ecologica della produzione, cioè agli inquinanti emessi durante il processo e all’impatto ambientale legato alle materie prime. Questa è l’arma più importante nella concorrenza tra produzione europea di batterie ed attuale dominio asiatico e, in modo particolare, cinese.
Se l’auto elettrica non emette inquinanti mentre marcia, infatti, lo stesso non si può dire per la produzione delle batterie che ne costituiscono il cuore. La bontà delle Gigafactory si misurerà sempre di più con la loro capacità di produrre con minori emissioni e minore impiego di materie prime. Oltre che con una progettazione e realizzazione degli accumulatori che ne garantisca la maggiore riciclabilità possibile quando avranno esaurito il loro ciclo utile. Plastiche e metalli dovranno essere resi recuperabili da ogni singolo componente. E l’impresa è tutt’altro che banale.
L’altra grande discriminante, in tema di impianti di produzione di batterie, è relativa alle fasi produttive che vi vengono realizzate. Una cosa è il solo assemblaggio delle celle elettrochimiche, importate magari proprio dalla Cina, in una batteria con la realizzazione del sistema elettronico di gestione della carica e della potenza. Altra cosa è la produzione anche delle singole celle, partendo dalle materie prime ed avendo una propria capacità di realizzazione e miglioramento delle loro caratteristiche. La Gigafactory è davvero strategica se produce sia le celle, sia le batterie. E magari è anche pronta ad accoglierne il disassemblaggio con recupero dei materiali quando diventeranno un rifiuto da riciclare.
Poi c’è il futuro, probabilmente legato alla tecnologia delle batterie al litio allo stato solido. Il processo produttivo ha molti elementi in comune con quello attuale, ma se ne differenzia in alcuni passaggi fondamentali che prevedono precise caratteristiche del luogo di realizzazione e assemblaggio delle celle. Una Gigafactory nasce già vecchia se non è pronta a un possibile veloce adattamento alla produzione di batterie al litio allo stato solido, in caso di diffusione sul mercato della nuova soluzione.
Fonte www.repubblica.it