TORINO – Rifinanziamento degli incentivi (che dopo Pasqua rischiano di esaurirsi per le diesel e benzina), mantenimento dell’ecobonus fino al 2026, scadenze più flessibili rispetto alla transizione energetica che deve puntare ad un miglioramento del quadro ambientale, ma deve essere anche sostenibile da un punto di vista economico e sociale. E poi investimenti in infrastrutture di ricarica dove l’Italia è al 16esimo posto in Europa (ha solo il 9 per cento di fast chargemaggiore di 22 kw).
Serve anche una riforma fiscale che tocchi anche il settore delle quattro ruote e dei trasporti, tra riduzione dell’impatto delle imposte per le flotte aziendali e rimodulazione del bollo, abbandonando il sistema solo basato sul kilowatt.
Sono queste le richieste di Anfia, Unrae e Federauto, le tre sigle che rappresentano il mondo della produzione e della distribuzione del comparto auto, che ora vogliono una task force pubblico-privata per arrivare ad un pianto che favorisca la transizione e permetta al settore di uscire dalla pandemia più forte.
Il 2020 infatti è stato il “cigno nero” per il comparto, ma la transizione ecologica in Italia è partita e nel febbraio 2021 per la prima volta le vetture ibride hanno superato quelle diesel. Un dato storico. Gli incentivi potrebbero accelerare ancora questa tendenza. Nel 2019 le vetture elettriche e ibride erano lo 0,1% della produzione italiana, nel 2020 si è saliti al 17,2% del totale prodotto e la stima è che nel 2021 si arriverà al 37,5%. Causa Covid-19 nel 2020 la produzione complessiva di veicoli in Italia (auto, bus e veicoli commerciali) è scesa del 15% a 777mila unità, contro le 915mila unità del 2019. Il calo produttivo è stato meno marcato rispetto alle immatricolazioni. Il calo di vendite lo scorso anno è stato del 27% 1,565 milioni di unità. Senza gli incentivi per le auto, secondo Unrae, le vendite di auto sarebbero state ancora più basse di 100mila unità.
“La mobility revolution implica, per la filiera auto – sottolinea Paolo Scudieri, presidente dell’Anfia – una transizione produttiva che richiede notevoli investimenti in nuove tecnologie: non solo elettrico, ma anche idrogeno, che rappresenterà un’alternativa concreta all’elettrico, connettività, autonomous driving e digitalizzazione dei processi. Una sfida per cui le aziende necessitano del sostegno di interventi da attuare tramite il Recovery Plan per mantenerne alta la competitività e rendere l’Italia attrattiva per nuovi investitori. Bisogna rafforzare e semplificare gli strumenti di politica industriale e rendere ugualmente accessibili alle imprese del Centro-Nord quelli per le regioni obiettivo. Il futuro è ambizioso, impegnativo. Abbiamo bisogno di un dialogo costante con il governo”. Scudieri sottolinea che “dare date per la fine dei motori termici è controproducente: senza interlocuzione con chi deve far sì che queste date possano essere reali è estremamente errato. Per questo non proponiamo questa collaborazione per capire quali sono i tempi giusti perché la transizione verso elettrico e non solo possa avvenire con i minori traumi possibili per l’industria”.
Gli incentivi sono serviti al mercato, all’industria e all’occupazione. Ma non solo. Sono state rottamate 125.000 vetture vetuste ed inquinanti che hanno contribuito ad un risparmio di oltre 61mila tonnellate di CO2/anno. Nonostante l’avvio della transizione verso la sostenibilità, l’Italia rimane ancora in cosa nella classifica dell’anzianità del parco circolante autovetture in Europa: età media di 11,5 anni contro gli 8 anni in Inghilterra, i 9 anni in Germania e Francia. All’attuale ritmo di sostituzione, per rinnovare l’intero parco italiano ci vorrebbero 27 anni. Ancora più elevata l’età media dei veicoli industriali (13,6 anni), dei veicoli commerciali (12,5 anni) e degli autobus (12 anni). “Il governo è cambiato da poco, ma quello che l’auto rappresenta per il Paese rende necessaria una interlocuzione costante. Sarebbe curioso non ascoltare un comparto che pesa il 20% del Pil”, ha sottolineato Michele Crisci, presidente dell’Unrae, l’associazione dei costruttori esteri. E aggiunge: “Ribadiamo la richiesta alle Istituzioni di rifinanziare gli incentivi per le autovetture nella fascia 61-135 g/km Co2 e per i veicoli commerciali, nonché di rendere strutturale fino al 2026 l’ecobonus per le autovetture fino a 60 g/km Co2. Per Crisci c’è molto da fare, anche sul fronte dell’infrastruttura per favorire la transizione: ”Si potrebbe prevedere un piano di detrazioni fiscali per privati e aziende che vogliono investire nelle infrastrutture di ricarica, come avviene nell’edilizia con il bonus per riqualificare le facciate degli edifici: si potrebbero creare sulle grandi direttrici degli hub per il fast charge vero. Senza di questo il full electric non avrà uno sviluppo”. Secondo il presidente di Federauto, Adolfo De Stefani Cosentino, il 2020 ha avuto impatti significativi sulle reti dei concessionari che hanno dovuto fronteggiare un pesante calo del fatturato (mediamente -25%) e un azzeramento della redditività aziendale. “Un deciso cambio di passo, anche per accelerare il rinnovo del parco circolante auto obsoleto e poco sicuro e colmare il gap competitivo con gli altri principali Paesi dell’Europa, è rappresentato dalla riforma della fiscalità auto”. La quota delle auto aziendali sul mercato italiano è la più bassa (36%) se confrontata con quella di Germania (62,9%), Regno Unito (54,2%), Francia (53,1%) e Spagna (49,8%) e “un intervento sulla percentuale di detraibilità dell’Iva per gli acquisti effettuati da aziende e professionisti e sulla soglia di massima deducibilità dei costi, anche in ottica green, non è più rinviabile”.
Fonte www.repubblica.it