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Abbiamo regolarizzato i migranti (ma non tutti): comunque vada sarà un insuccesso

Anche le misure per regolarizzare gli immigrati irregolari sono finite in quella nebbia di chiacchiera legalitaria e di paranoia anti-mercatista con cui il Movimento 5 stelle sapientemente avvolge ogni tema di governo, fino a farne evaporare la realtà e a ridurla a puro simulacro identitario.

Di qualunque cosa si parli, il Movimento 5 stelle è sempre “per la legalità” e “contro le lobby” e dunque anche in questo caso la loro macchina della comunicazione si è organizzata per liquidare questa proposta come frutto dei sordidi rapporti tra caporali italiani, scafisti stranieri e politici felloni, e dunque come un pericolo anti-nazionale.

Partito democratico, Italia viva, LeU e in particolare la battagliera Teresa Bellanova hanno tenuto il punto e alla fine della tenzone, di mediazione in mediazione, un passo avanti e due indietro, il Movimento 5 stelle ha abbozzato, più di quanto gli sia capitato fino ad oggi.

Si potrà pure concludere che quello compiuto è stato un piccolo passo avanti nella direzione giusta, ma non diversamente da come, sul tema della prescrizione, poteva considerarsi un passo avanti la consentita liberazione degli assolti in primo grado dalla tagliola del “fine processo mai”, pur a fronte della conferma del valore generale di questo principio incivile.

Piuttosto che niente, è sempre meglio piuttosto – recita l’adagio. Ma accomodarsi sul “piuttosto” come se fosse il segno di chissà quale cambiamento, di chissà quale ribaltamento dei rapporti di forza, è sempre un errore. Lo è stato sulla giustizia, con quella toppa che discrimina arbitrariamente tra sommersi e salvati dall’ergastolo processuale, lo sarebbe a maggior ragione sull’immigrazione, dove sommersi e salvati sono direttamente un “prodotto normativo”, una conseguenza diretta delle scelte del legislatore.

Oggi in Italia gli irregolari sono più di 600mila (per questo e per i dati più significativi sugli stranieri irregolari in Italia rimando a un articolo dell’Ispi del 30 gennaio firmato da Matteo Villa). E l’urgenza di un provvedimento di emersione è legata alla pandemia, visto che non hanno assistenza sanitaria, vivono in modo nascosto e promiscuo e arrivano a farsi curare solo in condizioni di emergenza, nei pronto soccorso ospedalieri.

L’idea di assorbire questo pericolosissimo serbatoio di contagio con un provvedimento che consentisse la loro emersione sanitaria, avanzata all’inizio da Emma Bonino, è stata immediatamente sgombrata dal tavolo.

Dunque la principale ragione, per cui la regolarizzazione andava considerata urgente e necessaria, non è neppure stata presa in considerazione.

Il motivo che ha spinto invece in avanti il provvedimento è stata l’emergenza dei raccolti. Degli 1,1 milioni di operai agricoli italiani, circa 400mila sono immigrati regolari, in larghissima parte europei. Molti sono stagionali, che il covid-19 ha confinato nei paesi d’origine impedendo loro il ritorno in Italia.

Quando alla fine di marzo il presidente della Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, ha lanciato l’allarme sull’assenza di oltre 200mila persone per il raccolto del grano, della frutta e dei pomodori, il governo ha capito che doveva fare qualcosa. Vista la difficoltà di organizzare “corridoi” per stagionali intraeuropei in piena pandemia, l’idea di far lavorare gli irregolari già presenti in Italia è parsa ovviamente naturale.

Si è aperta una discussione, si sono moltiplicati gli appelli per una regolarizzazione più generale e inclusiva e alla fine si è giunti alla mediazione di limitare la regolarizzazione al settore agricolo e a quello del lavoro domestico.

Sono i settori in cui si concentra maggiormente il lavoro irregolare, è vero, ma sono anche quelli che al momento, vista la situazione economica, difficilmente potranno assorbire manodopera proveniente da altri settori ancora più o meno fermi (edilizia, servizi, ristorazione) e difficilmente potranno regolarizzare tutti quelli che sono attualmente impiegati irregolarmente.

A questo punto è partita l’ “ammuina” legalitaria dei Cinque stelle e il solito bla bla bla contro il favore a caporali e sfruttatori. Sono arrivati, da una parte, a opporsi a un permesso temporaneo per tutti e a concedere solo il rinnovo per sei mesi dei permessi 2019 nel frattempo scaduti; dall’altra a combattere lo “scudo penale” per i datori di lavoro di un rapporto pregresso fatto emergere allo scoperto.

La mediazione finale, dopo lo stop alla bozza di domenica 10 maggio, che conteneva uno “scudo totale”, è stata quella di escogitare uno “scudo parziale”, che protegge il datore di lavoro solo da alcune possibili implicazioni penali del precedente rapporto irregolare – cioè da quelle contributive e previdenziali – ma non da quelle legate alla retribuzione, alle condizioni di sicurezza, all’orario del lavoratore – cioè a quelle che l’articolo 603-bis del codice penale considera possibili indici di sfruttamento.

Ovviamente, in questo caso, i Cinque stelle hanno agitato lo spettro di un interesse dei caporali e della criminalità economica a usare questo corridoio legale, mentre hanno al contrario condannato i lavoratori sfruttati (ovvero quelli il cui datore di lavoro teme una accusa di sfruttamento) a continuare a vivere nell’illegalità, cioè a essere sfruttati.

Nessun caporale regolarizzerebbe uno schiavo proprio perché ha l’interesse che rimanga uno schiavo. Ma molti datori di lavoro che prima impiegavano, con salari da fame e orari gravosi lavoratori irregolari forse oggi potrebbero decidere di regolarizzarli se non rischiassero la stessa pena che spetta ai caporali.

L’incapacità di comprendere e governare i più normali incentivi economici ha portato il Movimento 5 stelle a questa incredibile trincea, che avrà ovviamente come risultato non quello di punire il profitto dei padroni cattivi e sfruttatori, ma di perpetuare il lavoro cattivo e sfruttato degli “invisibili”.

Né la cosiddetta “sanatoria Maroni” del 2009 (limitata al lavoro domestico), né tanto meno quella fatta dal governo Monti nel 2012, avevano messo in discussione uno scudo penale totale rispetto al rapporto di lavoro irregolare pregresso, non ovviamente ad altri eventuali reati compiuti dal datore di lavoro o dal lavoratore (il reato di “sfruttamento” è del 2016).

Proprio il più immediato precedente, quello del 2012, induce a un qualche pessimismo sugli esiti della regolarizzazione 2020, che inizierà il 1 giugno per concludersi il 15 luglio, e dunque seguirà i criteri stabiliti dal Governo, non quelli eventualmente decisi dal Parlamento nella legge di conversione.

Nel 2012 furono regolarizzati 135mila stranieri, quasi esclusivamente nel lavoro domestico (anche se era aperta a tutti i settori produttivi), per una serie di oneri burocratici e finanziari che funzionarono come un potentissimo disincentivo. All’inizio di quell’anno gli immigrati irregolari erano stimati in 323mila (Ismu), quindi ne furono legalizzati circa il 40%.

Oggi le stesse stime del Viminale, che valutano in 200mila i regolarizzabili, denunciano la natura parziale di questo provvedimento, a fronte di 600mila irregolari. E se dovessimo scommettere, viste le mediazioni sabotatorie dei Cinque stelle, punteremmo su un risultato ancor più negativo: comunque lontanissimo dalle due sanatorie “Lega-Berlusconi” del 2002 e del 2009, con rispettivamente 700mila e 300mila istanze di emersione.

E sarà un risultato negativo che, oltre a non assorbire questa sacca di marginalità, illegalità e sfruttamento, finirà per dare ragione a chi sostiene che la regolarizzazione dei lavoratori stranieri è una fisima di buonisti e liberisti da divano.

In tutto questo, dobbiamo ancora mettere in conto i provvedimenti attuativi, che provvederanno – c’è da giurarlo – a complicare gli adempimenti in nome del dovere di controllo dello Stato.
Azzardando una previsione direi: comunque vada, non sarà un successo.

Abbiamo regolarizzato i migranti (ma non tutti): comunque vada sarà un insuccesso

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