L’ultima puntata della stanca telenovela Alitalia ha già un titolo: il ricatto. Non crudele e sfacciato, ma circostanziale e di natura opportunistica. Atlantia ha annunciato che è pronta a sfilarsi dal salvataggio di Alitalia in mancanza di un piano serio per il rilancio e, con maggior risonanza, in caso di una revoca o di un eventuale non rinnovo della concessione per Autostrade da parte del governo.
La holding del gruppo Benetton, che possiede oltre l’88 del capitale sociale di Autostrade per l’Italia, ha riaperto quindi le trattative, rimettendo sul piatto il suo 35% del capitale della Newco. Un colpo di scena insperato, sintomo però di una celere ripresa da quello stato shock, dovuto all’inchiesta sul Ponte Morandi, accusato proprio da Luciano Benetton meno di un mese fa.
L’ennesima scossa di turbolenze per la compagnia aerea di bandiera, questa volta, rischia di far saltare l’intero banco. La data per la scadenza delle offerte avrà termine il 15 ottobre, con gli americani di Delta non disposti ad aumentare la propria partecipazione oltre il 12%, facendo così ricadere la scelta sull’ultimo candidato rimasto, ovvero Lufthansa. Il progetto della compagnia tedesca mette in primo piano lo sviluppo solo della parte aerea e non di quella di terra, inserendo nella proposta troppi tagli ed esuberi di fatto giudicati insostenibili dal governo precedente e con molte probabilità anche da quello attuale.
La paura è quella di andare incontro a una morte assistita, con un prolungamento dell’assistenza governativa e la chiusura graduale dei rubinetti di prestito. Tutto possibile, a meno che il colpo di scena della famiglia Benetton si riveli solo un pezzo di bravura attoriale. Siamo davvero sicuri infatti che sia il governo sia Atlantia possano fare a meno l’uno dell’altro? Con la missiva indirizzata al ministro Patuanelli e firmata dal presidente di Atlantia Fabio Cerchiai e dal neodirettore generale Giancarlo Guenzi, nominato dopo le dimissioni dell’a.d. Giovanni Castellucci, viene svelato ufficialmente il collegamento tra i due dossier: la redditizia concessione di circa 3mila chilometri di autostrade e la partita sulla aerolinea nazionale sono necessità e dramma dei due protagonisti in campo.
La verità è che il governo giallo-rosso è ancora costretto a trattare: mai domo sulla questione stradale -neanche di fronte alle dimissioni di Castellucci -, sulla difensiva invece quando costretto a ragionare sulle dinamiche industriali di Alitalia che prospettano circa duemila esuberi. Così come il gruppo Atlantia deve combattere con i suoi demoni: non parliamo di ricatto, pertanto, ma piuttosto di vendetta: l’impatto delle ripetute dichiarazioni di caducazione della concessione hanno fatto perdere alla società un miliardo e 200 milioni di euro di capitalizzazione in Borsa in soli tre giorni.
Non contando poi tutto lo scheletro commerciale che anestetizza le staffilate. Sul tavolo, per quanto ingombro di implicazioni morali, la posta in palio è di circa 20 miliardi, ovvero il valore di indennizzo che il governo dovrebbe sborsare per la revoca della concessione. Sempre lo Stato, anche in questa stagione, non ha soldi da investire per nuove costruzioni e ampliamenti, mentre in casa Atlantia la faccenda capitali è pura questione di accordi e investimenti programmati.
Nel pallottoliere bisogna perdipiù contare che il governo ha poco potere contrattuale nei confronti dei concessionari e la revoca potrebbe aggiogare le scelte governative a deboli manovre: la ghigliottina ipotizzata per Autostrade per l’Italia spingerebbe gli investitori, solidali ai crismi del mercato libero e alla concorrenza tra privati, a credere che il settore autostradale italiano possa perdere la remuneratività di un tempo, e con essa il suo “fascino imprenditoriale”.
Quel fascino imprenditoriale che nelle mani di Atlantia ha versato nelle casse dello Stato oneri concessori, nell’ultimo quinquennio, pari a 453 milioni di euro. A sigillare la convergenza del pacchetto Autostrade-Alitalia, per completare la newco servono 300 milioni, ovvero il 40% del capitale, e la holding dei Benetton, non proprio casualmente, possiede Aeroporto di Roma, dove la compagnia di bandiera vale il 29% dei ricavi e porta con sé il 40% del traffico passeggeri dell’aeroporto di Fiumicino.
Si abbasseranno a pedaggi più leggeri, mentre dall’altra parte si sentirà parlar di meno (a rigor di legge della Borsa). Ci saranno altri 100-200 milioni di aiuti da parte dello Stato, malgrado i tagli dei costi varati dai commissari e i 900 milioni di prestito garantiti poco più di due anni fa dal Tesoro, come del resto si farà mea culpa per ogni errore commesso in casa Benetton.
L’unico ricatto è quello del tempo nei confronti del governo, che a forza di rimandare si è trovato prima, a malincuore, sedotto e poi abbandonato. Viceversa, il modo con cui Atlantia ha deciso di giocare la partita Alitalia per ottenere quello che vuole nella sfida emerita di Autostrade, potrebbe tramutarsi in un ottimo affare per il governo, libero dal rimpinguare i buchi della compagnia aerea e marginale nell’affaire concessioni. Il costo? Per i cinquestelle, su tutti Di Maio, quello della faccia, dell’onore; per Atlantia, invece, l’onere e la responsabilità di un buco nero di nome Alitalia.
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