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Amare l’Italia del coronavirus, la sottile differenza tra patriottismo e nazionalismo

C’è chi si vergogna di amare la patria. Persino oggi che l’Italia è chiusa in casa per proteggersi dal coronavirus. Credendo che sia un sentimento sconveniente, un tic sovranista, un riflesso fascista. Chi diventa rosso quando si commuove per il proprio Paese, temendo che il passo successivo sia necessariamente lo scoccare dell’ora delle decisioni irrevocabili, dovrebbe leggere l’ultimo libro di Filippo La Porta, Alla mia patria ovunque essa sia (Gog Edizioni). La Porta sostiene che la «patria è una cosa bellissima». E lo sostiene essendo uno che ieri (oggi è un critico letterario e un saggista) è stato un sessantottino, un militante dell’estremismo di sinistra: «Da ragazzo – scrive – mi fingevo Vietcong, Guardia Rossa, Black Panther, Feddayn, Tupamaro, indossavo maschere, preferibilmente esotiche». La bandiera dell’Italia non gli ha mai fatto palpitare il cuore. Sebbene, uno dei suoi eroi culturali, il socialista libertario George Orwell, consigliasse di diffidare dei tipi che non si emozionano alla vista della bandiera nazionale.

La patria non è fascista. Anzi, il sentimento della patria – secondo Simone Weil – è il sentimento che ha spinto i popoli europei a resistere al nazismo. Affermazione paradossale e contro-intuitiva. Dal momento che anche i nazisti facevano la guerra per servire la patria. Ma erano due patrie diverse – ecco il punto. Per il nazi, alla parola patria corrisponde il sangue e il suolo. L’idea della grandezza nazionale. L’orgoglio, le parate. In poche parole: la forza. Per gli anti nazi – sostiene Simone Weil, citata da La Porta – l’amore per la patria non è l’amore per il vigore nazionale. È amore per la delicatezza della patria. È il sentimento di «una cosa preziosa, bella, fragile peritura», che è esposta alle sventure, e può essere distrutta. E dice Simone Weil: questo si ama, quando si ama la patria.

È il sentimento che provano oggi molti degli italiani che sono barricati in casa e, a un certo punto della giornata, si affacciano dal balcone e cantano l’inno nazionale, oppure Volare, Azzurro, Il cielo è sempre più blu, qualsiasi cosa. La Porta confessa di essere stato uno di quelli che ha tifato la nazionale di calcio italiana di nascosto, sentendosi a disagio: «La mia generazione – scrive – ha avuto con la patria (e con i suoi simboli) un rapporto problematico, disturbato». La terapia è stata la letteratura italiana. Fatto per niente strano, se si considera che l’Italia è una creazione dell’immaginazione letteraria di Dante, Petrarca, Machiavelli. E solo secoli dopo è diventata una realtà politica.

Carlo Levi è lo scrittore che ha riconciliato La Porta alla patria, facendogli capire cos’è l’amore disperato per l’umile Italia. Mentre “un conservatore molto umorale” come Carlo Emilio Gadda gli ha insegnato a distinguere il sentimento patriottico, dalla retorica patriottica. L’idea di patria di La Porta deve molto a Cesare Pavese, che l’ha conquistato all’idea di patria che hanno gli americani, dove «tutti sono bastardi» e puoi essere americano anche se sei nato in Giappone. Come diceva Sciascia, l’appartenenza patriottica assomiglia alla paternità: è una scelta, non un dato biologico (come la maternità). La madre è un riferimento anche di Umberto Saba: «I nazionalisti – scrive – sono cattivi figli: vogliono cambiare la madre». Non amando abbastanza quella che Dio ha loro data, ne fabbricano una mitica, immaginaria, che pretendono di imporre agli altri. Per questo, Saba distingue il patriottismo dal nazionalismo. E dice che il primo sta al secondo come la salute sta alla nevrosi.

Per vaccinarsi da chi gli italiani li vuole cambiare, siano essi di destra (come i fascisti), oppure di sinistra (come gli azionisti), La Porta ha letto Nicola Chiaromonte, l’altro suo eroe culturale. La lezione di Chiaromonte dice che gli italiani si devono amare per quello che sono, non per quello che dovrebbero essere (che non significa risparmiare loro delle critiche). Ovvio che il bersaglio polemico di tutta questa antologia dell’altro patriottismo è il discorso sovranista. A esso, La Porta oppone la tradizione del patriottismo liberale e repubblicano: «Giuseppe Mazzini, che proiettava la Giovane Europa nella Giovane Italia». Ma anche una sfida: «Ami la patria? Dimostralo!».

Secondo La Porta, l’esempio del vero patriota è lo scrittore Raffaele La Capria, che ha spiegato cosa significhi per lui essere italiano con queste parole: «Ogni volta che riesco a comporre una frase ben concepita, ben calibrata e precisa in ogni sua parte, una frase salda e tranquilla, nella bella lingua che abito, e che è la mia patria, mi sembra di rifare l’unità d’Italia». Lezione che vale per tutti. Chi è di destra, di sinistra, chi è oltre la destra e la sinistra. Prima l’italiano.

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