Caro Riccardo Chiaberge,
ti ringrazio della attenzione che hai voluto dedicare, forse memore di qualche caffè bevuto insieme quando dirigevi l’inserto de Il Sole 24 ore confindustriale. Non starò a difendere me. Non sono arruolato da nessuno e vado dove mi invitano a dire quel che penso. Forse vorresti e dovresti farlo anche tu. Lo feci con Bersani, lo faccio con Salvini, non divido il mondo in buoni e cattivi, cerco di dare dei giudizi liberi e storici.
Ma appunto non di me voglio parlare. Lascio che parlino i miei interventi, le interviste e i libri di poesia e altro. (Solo un nota bene sulle parole visto che mi inviti a usarle bene: “Zingaraccia” è un dispregiativo, sbagliato da dire come dire donnaccia, vigilaccio, giornalistaccio, pretaccio – ma occorre sempre capire il contesto senza voler per forza evocare sempre razzismo e accuse un po’ facili per aizzare gli scontri.)
Mi stupisce piuttosto la tua attenzione un po’ velenosa, come sanno fare i giornalisti che intendono forse insegnare invece che informare. E tu insegni con nonchalance che chi vota Salvini è una “canaglia” , adombri, sempre con la nonchalance di chi fa citazioni, ha studiato e dunque pensa di essere piu intelligente della media delle persone, somiglianze tra un leader politico e Hitler.
E oltre a gettare ombre sulla mia capacità di uso delle parole attribuisci a persone come don Giussani pensieri che non sai se aveva o no, essendo quel sant’uomo morto prima delle questioni su cui lo fai pronunciare. Noto che sei incline al vizio di metterti ovviamente dalla parte dei buoni, come sanno fare sempre gli intellettuali italiani, ma non affrontando nessuna questione che enunci con un minimo di complessità.
Mi piacerebbe qualcuno che invece di ironizzare in modo velenoso, discutesse nel merito alcune questioni poste, invece che indicare quali sono i posti da poeti o no (i festival dell’Unità sì, il Paladozza no?). Ovviamente sei libero di pensare quello che ritieni, non per questo ti assocerò a parole come “canaglia“. Non sono razzista, né contro gli zingari, né contro i giornalisti, né contro i cani.
Allora ti do io una notizia: i poeti, da Saba con Togliatti, a Pasolini con il Pci (e discutendo in quel Pci che allora nascondeva le purghe staliniane), da Orazio a Dante a uno dei miei maestri come Luzi hanno sempre sentito il dovere di entrare nell’agone pubblico cercando una lettura delle cose che fosse più profonda della sola politica e del solo giornalismo. Si chiama libertà. E lo so, si paga. Ma è bellissima.
Stammi bene. Buon lavoro.
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