Il modus operandi è più o meno lo stesso: creare engagement sui social network, fidelizzare l’utente-elettore, fare man bassa di dati dei profili, prendendosi anche quelli degli amici collegati. Dopo il caso sollevato dall’articolo di Nicola Biondo su Linkiesta, nel quale grazie alle rivelazioni dell’ex dipendente della Casaleggio Associati, Marco Canestrari, è stata fatta chiarezza sui metodi di accesso irregolare ai dati di utenti Facebook da parte del blog di Beppe Grillo, ora è il turno del noto concorsone “VinciSalvini”.
Il sistema di engagement escogitato dal team digitale di Salvini è oggetto di «un procedimento per l’adozione di provvedimenti correttivi e sanzionatori» istruito dal Garante della privacy in merito all’utilizzo e allo stoccaggio dei dati sensibili degli utenti.
Lanciato sulle pagine ufficiali dei principali social del leader leghista, il gioco consisteva nel mettere “mi piace”, metterne tanti e metterli velocemente. Cosa c’era in palio? Ogni giorno la foto del seguace più solerte veniva diffusa sui canali social di Salvini (che ai tempi contavano sei milioni di follower), e poi una telefonata con il leader e, ogni settimana, un caffè di persona.
Insomma, un modo come un altro della comunicazione salviniana di fare propaganda, ma anche di prendersi i dati dei profili Facebook. Dalle email dei più stretti collaboratori del leader della Lega, pubblicate a marzo del 2018 da Repubblica, è emerso che il “VinciSalvini” in realtà serviva a creare un database con le informazioni non soltanto di chi aveva legittimamente aderito all’iniziativa, ma anche di tutte le liste di amici e contatti degli aderenti senza alcun consenso informato. Stando a quanto scritto, inoltre, l’obiettivo finale sarebbe stato quello di un accesso ai profili Facebook per una propaganda mirata. Non a caso, la prima edizione del concorso è stata lanciata nel 2018, mentre la seconda nel mese di maggio di quest’anno, entrambe a ridosso del voto, prima politico e poi europeo.
Sia chiaro: chi aderiva al concorso poteva accedere con il proprio profilo social o con la casella di posta personale, il che era sinonimo di una resa incondizionata di dati già a priori. Il coefficiente di infiltrazione aumentava leggendo poi l’informativa sulla privacy, la quale citava come tra i dati personali risucchiati dal trattamento ci sarebbero stati anche il “Facebook Id, nome, residenza, data di nascita, riferimento account Facebook, numero di cellulare, riferimento account Instagram e account Twitter”. Rimane poco chiaro come la Lega abbia protetto (e stia proteggendo) quei dati e, soprattutto, come questi siano stati utilizzati.
A Linkiesta risulta che la controversia del “VinciSalvini”, lungi dall’esere morta e sepolta, sia finita sulla scrivania del Garante della privacy. Il garante ha deciso di intervenire il 30 ottobre scorso, comunicando ai legali del Carroccio l’avvio di un procedimento diretto proprio a stabilire la liceità del concorso. Al margine del quale, al momento il mantello procedurale mantiene la segretezza degli atti, si saprà se e come i dati di “decine di migliaia di utenti”, come lo stesso Salvini ha confermato a fine elezioni, sono stati trattati.
Vedremo che cosa accerterà il Garante, ma il fatto che abbia preso sul serio la questione accomuna la profilazione dei sostenitori messa in piedi da Luca Morisi alla piattaforma dei Cinque Stelle e pericolosamente a Cambridge Analytica.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/12/07/vinci-salvini-dati-facebook-casaleggio-m5s-lega/44665/