Non sappiamo quando andremo a votare e non conosciamo nemmeno con che legge elettorale sceglieremo i prossimi deputati e i senatori, se con un sistema ancora più proporzionale di quello attuale o, più improbabile, con uno di stampo maggioritario.
Sappiamo però che i leader del fronte alternativo a quello sovranista e populista marciano orgogliosamente divisi a contendersi lo stesso elettorato piccolo o grande che sia e in certi casi addirittura blandiscono gli avversari, alcuni facendo come il Lupo cattivo di Cappuccetto Rosso per “mangiarseli meglio”, altri perché drammaticamente credono davvero che i Cinque Stelle siano una scheggia impazzita dei democratici (e non, invece, una società privata di web marketing che promuove la fine della democrazia rappresentativa).
Nel mercato elettorale questa divisione è una debolezza non di poco conto che disorienta chi è pronto a votare chiunque piuttosto che i pericolosi e gli incapaci: ma, appunto, per un elettore medio antisovranista e antipopulista è meglio il vecchio Pd o il nuovo Italia Viva, Paolo Gentiloni o Carlo Calenda, Mara Carfagna o Emma Bonino? Fanno parte del gruppo anche LeU e Pippo Civati, quel che resta dei cattolici e dei socialisti, ovviamente anche i Verdi, parlandone da vivi, insomma tutti quelli che non hanno in programma di mettere in discussione i fondamentali della convivenza civile, di flirtare con i regimi autoritari e di rinnegare le formidabili opportunità offerte dalla libera circolazione delle persone, delle merci e delle idee.
Nel derby società aperta contro piccole patrie e associati, questi ultimi invece sono coesi e agiscono come una vera internazionale nazionalista e populista, sgangherata quanto si vuole ma vigente.
Il team società aperta ha scelto la strada opposta per molte ragioni. Tutte molto comprensibili, comunque la si pensi, perché senza le ambizioni individuali non si va da nessuna parte e da sempre i rapporti personali determinano l’ascesa (ma anche la caduta) dei leader e delle loro aspirazioni. I leader si facciano concorrenza e dispetti, litighino e strappino pure, urlino e piangano, ma prima o poi, all’avvicinarsi del voto, si decidano, si incontrino, anche a cena a casa Calenda, mettano da parte rancore e risentimento reciproci e scelgano, a seconda della legge elettorale, se allearsi prima o dopo il voto in modo da non lasciare il paese nelle mani dell’alleanza degli autoritari e degli inadeguati. Accorciare le distanze politiche e i propri ego sarà complicato, ma non potrà mai essere così lancinante quanto il dolore che provoca il pericolo serio che corre la società aperta.
Facciano tutta l’ammuina necessaria, per adesso. Per la partita vera c’è tempo.
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